“E se fosse tuo figlio?” – Il piccolo Adam a Milano, tra le bombe di Gaza e la speranza di una cura”

“E se fosse tuo figlio?” – Il piccolo Adam a Milano, tra le bombe di Gaza e la speranza di una cura”

di Cristina Di Silvio esperta in relazioni internazionali

Milano, giugno 2025 – Adam ha otto anni. Ha gli occhi grandi, scuri, curiosi. Di quelli che dovrebbero inseguire farfalle, non droni. Che dovrebbero esplorare libri e parchi, non cercare rifugi sottoterra. Ma Adam viene da Gaza, e a Gaza non si gioca più. A Gaza si sopravvive. È arrivato in Italia pochi ore fa, insieme ad altri bambini palestinesi, per ricevere cure mediche impossibili da trovare sotto i bombardamenti. Il suo corpo porta le ferite della guerra. Ma sono gli occhi, quegli occhi così grandi, a raccontare ciò che le parole non osano: la perdita, il trauma, la distanza da casa, il silenzio improvviso dopo ogni esplosione. Chi guarda Adam non può restare neutrale. Perché Adam è un bambino come tutti. Ma è nato nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. E allora viene da chiedersi: “E se fosse mio figlio? Mio nipote? Il bambino del mio quartiere?” “Ogni volta che un bambino è ferito, umiliato o ucciso, l’umanità intera perde un pezzo della sua anima. ”Nelson Mandela. L’ospedale pediatrico di Milano lo ha accolto con discrezione, professionalità e una tenerezza che non si può insegnare nei corsi di medicina. Insieme ad altri bimbi provenienti dai territori palestinesi, Adam affronta operazioni, terapie, giorni lunghi di flebo e attese. Ma per la prima volta dopo mesi, respira aria senza odore di polvere da sparo. Milano, così lontana dalla Striscia, oggi è una città-rifugio. Una culla temporanea di umanità, che ricorda all’Europa – troppo spesso cieca e distratta – che non esistono guerre lontane quando a morire sono i bambini. “La misura ultima di una società si vede da come tratta i suoi membri più deboli: i bambini, gli anziani, i malati e gli indifesi.” Mahatma Gandhi

Nelle stazioni, nei bar, sui mezzi pubblici, la vita scorre. Si ride, si litiga, si lavora. E va bene così. Ma c’è un filo che ci lega, che ci sfida: che cosa stiamo facendo, davvero, per i bambini come Adam? Viviamo in un’epoca anestetizzata. Le immagini scorrono sui nostri schermi come fantasmi: macerie, sangue, pianti. Ci indigniamo, magari, ma poi passiamo oltre. L’orrore non ci scuote più come dovrebbe. “Il mondo non sarà distrutto da quelli che fanno il male, ma da quelli che li guardano senza fare nulla.” Albert Einstein 

Eppure, basta incontrare Adam – anche solo con lo sguardo – per sentire la crepa. Per capire che la guerra non è mai “altrove”. Che il dolore ha lo stesso volto, ovunque: quello innocente dei più piccoli. “Non possiamo essere neutrali di fronte al dolore.” Elie Wiesel, sopravvissuto all’Olocausto

Non è solo una storia. È una domanda. Adam è un nome, ma è anche un simbolo. È il nome di tuo figlio, di tua figlia, del tuo vicino. È il nome di un’umanità che stiamo dimenticando. Questo articolo non vuole solo informare. Vuole ferire – nel senso più umano e necessario del termine. Perché se non ci feriamo davanti alla sofferenza di un bambino, allora forse ci siamo già persi. Non bastano le cure. Serve una cura per tutti noi. Una medicina contro l’indifferenza. Un vaccino contro l’apatia.

E allora te lo chiedo, lettore:

E se fosse tuo figlio? 

“Chi salva una vita salva il mondo intero.” Talmud babilonese

 

 

 

 

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