Il cielo spezzato di Ahmedabad: la sociologia della perdita, tra dolore collettivo e memoria condivisa

Il cielo spezzato di Ahmedabad: la sociologia della perdita, tra dolore collettivo e memoria condivisa

di Cristina Di Silvio esperta in relazioni internazionali

“Chi guarda il dolore degli altri?†si chiedeva Susan Sontag in uno dei suoi saggi più potenti, interrogando non solo la capacità empatica dell’essere umano, ma anche la responsabilità etica della memoria. Il 12 giugno 2025, il mondo ha assistito a una scena che spezza non solo la cronaca, ma la coscienza collettiva: un Boeing 787 della Air India, in partenza da Ahmedabad verso Londra, si è schiantato in fase di decollo con 242 persone a bordo. Soltanto una persona è sopravvissuta. Il resto – corpi, nomi, speranze – è rimasto tra le lamiere. E mentre la notizia attraversava i fusi orari con la velocità dei bit, nella città indiana si levava un silenzio denso, come quello che precede le grandi trasformazioni sociali. Quella che può apparire come una tragedia locale diventa invece una ferita globale, uno squarcio che interroga le strutture profonde della società contemporanea. Durkheim ci insegnava che i momenti di crisi hanno una funzione sociale: uniscono, ridefiniscono il senso di appartenenza, catalizzano la memoria collettiva. La perdita di 241 vite in un solo istante non è solo un evento statistico, ma un trauma simbolico che si insinua nelle fibre delle comunità transnazionali. Molti dei passeggeri erano migranti, studenti, professionisti, famiglie in cerca di futuro tra due mondi – India e Regno Unito. Non erano semplici corpi in movimento, ma biografie mobili, narrazioni umane che si intrecciavano tra due emisferi. In un mondo sempre più connesso, la morte di uno diventa il lutto di molti. In questo, l’incidente di Ahmedabad riecheggia la “banalità della fragilità†che Bauman descriveva nelle sue analisi delle società liquide: dove tutto scorre, anche il dolore rischia di evaporare se non si coltiva memoria. Il luogo del disastro – un ostello universitario, un decollo spezzato – assume connotati quasi mitici. Ahmedabad, con la sua stratificazione di povertà e innovazione, è simbolo di un’India in perenne trasformazione, che guarda all’Occidente come possibilità. Il volo AI171 non era solo un mezzo di trasporto: era un vettore simbolico di aspirazioni sociali. La sua caduta interrompe brutalmente la traiettoria della mobilità, rivelando quanto sia sottile il confine tra progetto e tragedia. In questo senso, il confronto geopolitico con altre grandi tragedie del trasporto globale – dal volo MH370 della Malaysia Airlines al disastro di Lockerbie – non è forzato: anche lì, nazioni diverse si sono ritrovate unite nel dolore, rivelando una volta di più che, sotto le bandiere, gli esseri umani soffrono allo stesso modo. Se il mondo tardo-moderno ha celebrato l’individualità, la tragedia collettiva riporta alla luce il bisogno di comunità. In questo caso, la comunità del lutto non si limita ai confini familiari. È l’intera diaspora indiana, è Londra, è il popolo digitale che ha seguito i soccorsi in tempo reale, a essere chiamato in causa. Come ci ricordava Roland Barthes, “il dolore è un’intimità collettivaâ€: ciò che accade a uno di noi, accade a tutti. Eppure, nella cronaca e nei social, il dolore rischia di farsi consumo. Immagini, nomi, video diventano oggetti transitori. La sfida della sociologia – e dell’etica – è opporsi a questa volatilizzazione. È costruire luoghi, fisici e simbolici, dove ricordare significhi resistere all’oblio. Il volo AI171 era un piccolo mondo in movimento. La sua caduta ha ricordato a tutti noi che il cielo non è solo spazio, ma destino. Nelle pieghe di questa tragedia, la sociologia trova il suo compito più profondo: non spiegare soltanto, ma accompagnare. Accompagnare i vivi nel difficile mestiere di sopravvivere alla perdita. E forse – come scriveva Marguerite Yourcenar – solo nel dolore impariamo che “nessuno possiede nulla, neppure sé stessoâ€. Ma insieme possiamo possedere il ricordo. E trasformarlo in cura.

Questo articolo non è solo un’analisi. È un omaggio. Alle vittime. Ai loro sogni. Alla nostra umanità condivisa.

adminlesociologie

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