Dibattito sull’identità cilentana La restanza come occasione di una identità evolutiva per il territorio del Cilento

Dibattito sull'identità cilentana
La restanza come occasione di una identità evolutiva per il territorio del Cilento

del dott. Luigi Leuzzi
psichiatra ed antropologo

In più occasioni Vito Teti si è soffermato sul disagio a cui va incontro chiunque decida di rimanere nelle aree interne dell’Appennino per mantenere un equilibrio antinomico tra ancoraggio del vissuto corporeo nei luoghi natii e diaspora della mente verso altre mete o aspettative ideali o reali per il proprio futuro coesistentivo.
Il più delle volte il “restante” si confronterà con le ombre del passato in borghi rarefatti nel tessuto comunitario ormai sfilacciato che specie in questa epoca del contagio Covid 19 ha molto in comune con la distanza intersoggettiva delle realtà urbane o peri-urbane nelle modalità dell’incontro e della coesistenza.
Un distanziamento glaciale ha molto di attuale in contesti sociali in cui si sono frammentate le coordinate co-esistentive ravvivate in passato dai ritmi e dai spazi comuni dalle attività agro-pastorali in cui una volta si inscriveva un sentimento corale dell’appartenenza .
Solo le sagre attualmente ne ripropongono una forma larvata di riattualizzazione specie in superficie giacché costituiscono semmai dei “non luoghi” per dirla alla Marc Augè dove una vaga segnaletica dai rimandi effimeri e cartellonistici ripropone momenti di aggregazione cementati un tempo dalle comuni attività produttive e comunitarie legate alle stagioni della semina e della raccolta , del transito della transumanza e degli scambi orientati dai tratturi a reticolo o longitudinali e trasversali che segnavano le rughe di un paesaggio antropico che è ormai in dissolvenza.
Eppure a proposito della Civiltà dell’Appennino in cui insiste il territorio di indagine del mio contributo, Giuseppe Lupo ha ribadito che proprio a partire da Eboli dove Cristo si è fermato nasce un’altra religione dell’interno che media valori ancestrali e che invita a guardare la Piana o la Costa affollata da aggregazioni produttive e turistiche con uno sguardo ulteriore e trascendente.
Si potrebbe alludere ad una metafisica del tempo delle stagioni e dei solstizi a cui rinviano le testimonianze di un megalitismo che è transitato in parte  nel culto dei santuari mariani extra-urbani e delle consuetudini rievocate dalle feste patronali e dalle rievocazioni di un tempo passato che va coltivato nell’humus fertile di chi è rimasto ed ha la forza di attestare ai policy-makers che non è più il tempo delle celebrazioni ma che invece è il momento dell’epifanìa del riscatto e dell’identità e dell’appartenenza.
Non c’è bisogno di assistenzialismo o dipendenza dalle erogazioni puntiformi; i giovani meritano invece infrastrutture che consentano di competere con le realtà a capitale sociale elevato e mantenere allo stesso tempo il pregio della diversità e delle peculiarità che rendono un Cilentano o Lucano Occidentale orgoglioso di esserlo.
Da parte di molti Cilentani si spera che le nuove generazioni possano abitare il nostro territorio e rianimarlo di quello slancio vitale che nei secoli addietro ha strappato le nostre terre all’incuria ed all’abbandono nonostante i tempi oscuri delle guerre e delle invasioni greche, romane, bizantine, longobarde , saracene, normanne ,angioine ed aragonesi, spagnole, francesi e sabaude.
Noi siamo d’altronde un popolo antico sebbene con una identità dinamica, un tempo di lingua osca; ora dobbiamo ambire ad un riconoscimento sovra-regionale che non ci veda solo costellazioni satellitari di un mondo a capitale sociale avanzato.
Dimostriamo tutti che con i lucani di stirpe sannita in epoca storica non siano scomparsi individui di una progenie temperata al punto tale da costituire la vera spina dorsale del dissenso e della strenua resilienza di un mondo antico consegnato altrimenti all’oblìo della prevaricazione e del silenziamento antropico.
“Proposte per un’osservazione del Cilento da parte di un flaneur de-rurale “
L’antropologia di un mondo globalizzato non incontra più riserve etno-culturali ;i luoghi abitati si sono diradati ,rarefatte le comunità e chi rimane si ibrida magari nell’incontro con le ombre del passato mentre allo spaesamento ulteriore concorrono in maniera rapsodica gli immigrati o semplicemente gli altri da noi, diversi per abitudini e consuetudini.
Mentre il Mondo si espande le culture transitano nel villaggio della memoria come indicato da Lombardi Satriani e creano una identità collettiva e comunitaria di transizione verso il nuovo paradigma di una società multietnica .
Si attiva in altri termini la dialettica tra globale e locale;le comunità tradizionali perdono i loro confini e diventano permeabili ad altri mondi e si costituiscono quali scansioni spontanee di una “ecumene globale” nell’accezione di Hannerz. Nella migliore delle ipotesi si assiste ad una “glocalizzazione “ per cui i luoghi nel mentre si aprono al mondo pur tuttavia mantengono la loro identità. In genere dalla trasmissione di saperi univoci si transita alla condivisione di culture plurime Dalle descrizioni esaustive di mondi in divenire si preferisce optare per la narrazione da un punto di vista interiore.
I villaggi ed i borghi del Cilento in stretta analogia con il resto delle aree interne dell’Italia che resta divengono ghetti di una periferia deruralizzata in cui si ricostituisce una rete interpersonale, inoltre in analogìa ai filamenti ubani delle metropoli si costituiscono dei luoghi che funzionano da spazi relazionali ed identitari ma non necessariamente simbolizzati.
L’antropologo sinceramente interessato a cogliere l’essenza o l’anima mundi di questo territorio nonostante la dissolvenza o nella migliore delle ipotesi la transazione verso altre corrispondenze antropiche si propone come un osservatore curioso, un flanèur che disvela una curiosità da botanico in quanto è capace di cogliere le atmosfere della vita comunitaria in un registro surreale e di sospendere le sue impressioni in bolle di vetro come quando un angolo di un borgo viene esemplificato nei souvenir realizzati con plastici avvolti dall’acqua e da pailettes di neve ed incluse in sfere di vetro e in questa sospensione artificiale ;questo curioso osservatore poi le modifica in un turbinio immaginifico agito a proprio piacimento e con cui si rapporta ad una visione di lacerti co-esistentivi urbani e nel nostro caso di realtà rurali glo-localizzate senza una visione originaria . I Mass Media hanno creato una realtà virtuale in cui un mondo antico ha smarrito la sua rappresentazione narrativa della vita quotidiana e quest’ultima viene altresì trasposta in una modalità globale che risulta essere la trama di filamenti urbani insinuati in una rete o ragnatela di concrezioni aspecifiche della periferia rurale. In questo modo i si coartano gli eventi di vita divenuti astorici in quanto atemporali ovvero “non luoghi” a cui si attribuisce impropriamente un significato ulteriore.
L’esito di queste trasformazioni antropologiche finisce per essere l’esposizione a proiezioni fantasmatiche del “non sense” e della mancata consapevolezza specie per le future generazioni ondivaghe e smarrite nella mancata corrispondenza tra provenienza e destinazione di vita.
Pur in presenza di riferimenti storici ed identitari persistenti nei borghi prevale un rapporto anonimo tra le persone che aderiscono ad un mondo globalizzato regolato da una cyber-modernità e che si intrattengono tra loro pur insistendo nella solitudine e nella fluidità di una realtà virtuale .Alla stanzialità di un tempo si sostituisce una mobilità e si ha difficoltà a mantenere una identità storico-culturale che nell’accezione di Vito Teti orienta le comunità a condividere il dono di “communitas”.
Nell’accezione di Remotti Francesco l’identità va intesa come la risultante dell’incontro tra struttura (S) e flusso (F) ;in tale prospettiva il Cilento dalle origini e finanche dalla preistoria si è sempre caratterizzato per continui rimaneggiamenti del contesto socio-antropologico fino al tardo impero romano e forse sino alla seconda ellenizzazione greco-orientale si è disvelato come un territorio aperto agli scambi ed all’interazione tra compagini etrno-culturali eterogenee [tanto è vero che è stato riconosciuto patrimonio dell’Unesco proprio in quanto luogo di scambi di popolazioni e civiltà nella direzione Est-Ovest],tuttavia in questa sub-regione della Campania caratterizzata da una sorta di peninsularità per le caratteristiche geomorfiche e orografiche in una scansione diacronica la costa ha recepito più frequentemente le innovazioni rispetto all’interno che è risultato essere più chiuso alle osmosi .
In un “Cilento un’isola” lo scrivente ha evidenziato come la descrizione di una Trinacria suddivisa in “isole in un’isola” di Leonardo Sciascia ben si attanagli anche al Cilento.
Gerhard Rolphs ha individuato manifestazioni di un conservatorismo tanto che insieme ai relitti linguistici greci,romani, arabi, longobardi e spagnoli etcc avrebbe specificato la presenza nella circoscrizione di Policastro finanche un’area etno-linguistica italo-gallica con l’immissione nel 300 di maestranze immigrate per volere di Roberto D’Angiò.
La stessa etimologia di Cilento secondo Fabio Astone e una successiva interpretazione dello scrivente deriverebbe dall’etrusco e dalla sigizia Cilens –Thinia rispettivamente la Dea della Notte e il Dio del Giorno così come vengono citati nel fegato di Piacenza destinato alla disciplina degli auruspici e conservato nel lo0cale Museo Civico .
Nell’avvicendarsi dei secoli la zona costiera risultò essere esposta alle incursioni piratesche sino a che a fronte delle penetrazioni e delle spedizioni berbere o delle invasioni turche si optò per le zone interne interrompendo gli scambi tra interno e costa che erano sempre stata vettore di cambiamenti e progresso.
Di recente abbiamo assistito allo sviluppo di una economia centrata sul turismo stagionale prevalentemente balneare a discapito dell’interno non più supportato dalle presenze antropiche garantite in precedenza dalle attività agro-pastorali.
Attualmente i borghi dell’interno in alta e media collina o distanti dal mare versano in condizioni di declino, appaiano disabitati se non abbandonati sicché nella commistione di lacerti edilizi di recente costruzione in parte utilizzati ed in parte sospesi nella mancata fruizione appaiono come “non luoghi” e quindi nella comprensione delle dinamiche di depauperamento antropico del territorio indagato lo studioso si avvale degli stessi strumenti concettuali che caratterizzano una antropologia della glolocalizzazione.

Conclusioni
L’identità è ciò che permane di un individuo nel tempo ,di questi permane un nucleo ma un soggetto che è in un continuo cambiamento nonostante sia per definizione non divisibile (“individuum”) pur tuttavia si declina come “dividuum”. Non è un atomo della filosofia ateniese né una monade leibniziana né varia solo in superficie come concepito dalla società occidentale ma è persona divisibile, fatta di relazioni e non solo nella società ma anche nel mondo in cui abita .
Questa visione si allarga al contesto in cui l’individuo partecipa ad una “communitas” fatta di soggetti relazionali,ovviamente.
L’identità esprime altresì l’esigenza di mantenere una coerenza, una coesione ed una continuità in una società complessa che oltremodo va esemplificata perché essendo così costituita e ramificata è difficile che la persona possa orientarsi all’interno di essa e quindi si caratterizza per un tentativo di omologazione identitaria. Un noi che spinge alla coesistenza e nella separatezza dovrebbe cedere invece all’integrazione ed al sinergismo.
È opportuno tuttavia un registro simbolico in cui inscrivere queste rappresentazioni unitarie ma cangianti.
Non si può fare riferimento solo al passato in maniera nostalgica né irretirsi in un tempo melanconico bloccato nell’atemporalità.
Bisogna vivere un presente che insista nella contemporaneità.

L’importanza simbolica della “Piramide Culturale” tra poesia ed aforismi in traiettorie identitarie

Nel 2019 viene fondato da Menotti Lerro poeta ,scrittore e critico letterario e da Antonio Pelliccia ed altri docenti dell’Accademia di Brera il “Centro Contemporaneo delle Arti” con Sede fisica a Milano e legale a Vallo della Lucania .Questa Istituzione Culturale si è rappresentata con una icona: la Piramide Culturale che non vuole essere solo una configurazione dell’immaginario bensì delimita nella sua concretezza paesi con propensioni antropiche del Cilento e della Lucania. La piramide è l’elemento di congiunzione con una dimensione trascendente, qualcosa che non muta intanto che il tempo scorre e congiunge la caducità umana con la perfezione di quattro figure triangolari, tutte uguali, che si volgono con la punta rivolta verso l’alto a campire un luogo ideale, un’utopia che rigenera e dà forza.
I termini di riferimento, o meglio i vertici di questa immagine del desiderio, insistono nella Poesia declamata a Salento, negli Aforismi condivisi a Omignano, nel tributo all’Amore più autentico a Trentinara, nell’evidenza di una conoscenza Apollinea a Poseidonia -Paestum e nel disvelamento del pensiero cosmogonico di Parmenide a Velia ,nel castello di Agropoli trasformato in un’agorà; nell’immaginario fiabesco di Piano Vetrale con i suoi Murales; a Roccadaspide il paese della Difesa con il suo maniero Federiciano ha stabilito di recente una nuova sede.
In ogni modo questa configurazione eidetica si interrela tramite i suoi esponenti con i vari sindaci e rappresentanti di Istituzioni Culturali autorevoli come la “Fondazione Giambattista Vico” a Vatolla per interrogarsi sul sentimento di appartenenza e costituire così in itinere la ricerca di una identità intercomunitaria . Il Centro Contemporaneo delle Arti di Vallo della Lucania nel frattempo si è evoluto in un Movimento Letterario-Artistico e filosofico che, stanco della distanza e della freddezza delle illazioni retoriche o di maniera, ha preferito il calore della parola e la luce delle emozioni per farsi strada nel crepuscolo di una civiltà sempre più rarefatta nei gesti e nella mimica, ombre ormai di un passato che incombe nel mancato desiderio, specie nella stagione del Covid. La gente non incrocia più gli sguardi, mentre le fredde immagini di una civiltà face-book correlata ripetono stanche moviole di cliché che durano il tempo di una istantanea per essere repentinamente sostituite da una posa, da un’esibizione che faccia colpo sui followers. Ed è proprio in questa stagione della perdita e dell’oblio che noi tutti riscopriamo l’empatia, non come uno stereotipo del sorriso e della commozione pronta per l’occasione, ma come momento autentico di fare testimonianza presso il prossimo della nostra presenza sincera e di una comune identità.
Questa prossimità si è poi diretta all’Arte e alle sue molteplici manifestazioni, finanche alla Storia, alla Filosofia e a tutte quelle scienze umanistiche che sono state consegnate ai codici e alle norme di una razionalità glaciale fatta di algoritmi e di misura algebrica e geometrica del mondo.
Friedrich Hoderlin ha suggerito negli Inni di Pace la fondazione di una identità originaria che si costituisca come atteggiamento empatico; ne citeremo  alcuni versi

Molto abbiamo esperito
Innumerevoli celesti abbiamo nominato
Da quando siamo un colloquio
e possiamo ascoltarci l’un l’altro.
Vol IV,pag.343 Friedrich Holderlin

Il poeta è prossimo agli dei fuggiti e ci invita alla radura dell’essere “lichtung”,dove si rinviene la sorgente della parola che fonda alle origini il linguaggio ; dapprima gli dei poi i poeti e gli eroi semidivini indicano la via per l’apertura e la sacralità della dimora in cui abita l’uomo .La piramide culturale insiste in luoghi in cui sono ancora evidenti delle attitudini empatiche dirette all’ascolto ed all’accoglimento di vocazioni antropiche ed identitarie.
Ogni vertice punta verso l’etere facendo leva sugli abissi dell’anima ed intanto un pensiero ancestrale prima neolitico e poi eleatico scaturisce dal contrasto tra la luce e la notte e fonda dapprima una visione cosmogonica e poi si impenna in un disvelamento delle verità più inaccessibili nonostante lo smarrimento delle opinioni mutevoli.
Ed intanto il Centro d’arte contemporanea grazie a Menotti Lerro ed agli altri fondatori di cui mi onoro appartenere suggerisce nell’empatismo una pratica quotidiana dell’arte e della letteratura che sottragga l’uomo attuale al mondo grigio pallido in cui si configura un disimpegno dalla condivisione di vissuti emotivi ed empatici in nome di una fredda ragione che si misura nel mondo solo con gli algoritmi della mathesis universalis .Di recente è stato istituito con il patrocinio della Sovrintendenza dei beni Culturali della Provincia di Salerno il Premio Internazionale di Poesia del Cilento e tale fondazione costituisce un’occasione irrinunciabile per competere con le realtà culturali urbanizzate.
Di particolare attualità è l’occasione di rappresentare simbolicamente i borghi che restano nel nostro territorio e conferire loro una rappresentazione eidetica che li sottragga al destino irreversibile di non luoghi, ritrovando un Centro nei margini che sopravvivono alla globalizzazione ritrovando una insperata contrattualità e dialettica con il mondo esterno ,e specie le Metropoli che invece impongono norme irrelate con i gradienti antropici del nostro territorio.

Bibliografia:
1)Marc Augè “Non Luoghi.Introduzione ad una antropologia della surmodernità”.-Eleutheria-2009”
2)Luigi Leuzzi –“Cilento ,un’isola”-Centro di Promozione Culturale del Cilento-Acciaroli-2017
3)Luigi Leuzzi in “Cilento, Terra Matrigna.Emigrazione-spopolamento-diaspora dei giovani .Atti del Convegno” a cura di Ezio Martuscelli-Amazon-2022
4)Giuseppe Lupo in “Manifesto di come Riabitare l’Italia”a cura di Cosmacino Donizetti – 2020
5)Raffaele Nigro Manifesto di come riabitare l’Italia”- a cura di Cosmacino Donizetti -2020
6)Giampaolo Nuvolati-”lo sguardo vagabondo” Appunti e sedimenti-taccuino online -2014
7) Gerhard Rolphs-Studi linguistici sulla Lucania e sul Cilento-1989
8)Vito Teti “la Restanza “,Einaudi -2022

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