Intervista al bravissimo artista Roberto Sanchez

Intervista al bravissimo artista Roberto Sanchez

A cura di Maurizio Vitiello

 

Puoi segnalare il tuo percorso di studi?

Un percorso dal taglio inequivocabile: Liceo Artistico, Accademia di Belle Arti, corso di pittura col Prof. Domenico Spinosa.

 

Puoi raccontare i desideri iniziali e i sentieri che avevi intenzione di seguire?

Il mio sogno era di lavorare comunque con le immagini, in senso professionale. Mi piace parafrasare Montanelli: ‘meglio fare il pittore che andare a lavorare’. In realtà, con la pittura riesco a sostenermi economicamente oltre a fare una mia ricerca.

Naturalmente spazio anche e soprattutto nel campo della grafica, decorazione e complementi di moda ed arredamento.

Ma in questo settore spesso non compaio con la mia firma.

 

Quando è iniziata la voglia di “produrre arte”?

In maniera decisa nei primi anni ’70.

 

Quali sono le tue personali da ricordare?

Su una serie di più di quaranta personali ricordo con piacere quelle in spazi pubblici come alla Azienda Soggiorno e Turismo di Salerno nel 1984, alla Galleria di Arte Moderna di Macerata nel ’90, al Goethe Institut di Napoli nel 1992, al Palazzo Reale di Napoli nel ’94, alla Collegiata di Lauro nel 1996, alla Galleria Comunale di Bressanone (Bolzano) nel 2000, al Museo Mineralogico Campano a Vico Equense nel 2004, all’Ipogeo della ex Real Casa dell’Annunziata, Napoli nel 2006.

Da allora ho privilegiato spazi privati.

 

Puoi precisare i temi e i motivi delle ultime mostre?

Prendendo a riferimento la mia personale a Palazzo Venezia, A’Mbasciata Gallery, il titolo ’Tangram’ fa trasparire il mio utilizzo di elementi geometrici, ma anche di supporti mobili, per sottolineare la valenza di ‘Astrattismo progressivo’ come suggerisce Rosario Pinto, del mio lavoro più recente.

 

Ora, puoi specificare, segnalare e motivare la gestazione e l’esito delle personali che hai concretizzato e delle esposizioni, tra collettive e rassegne importanti, a cui hai partecipato?

Premetto che le personali non sono finalizzate in primis alla vendita.

Su questo mi impegno poco, perché non ne ho necessità e perché, come ho accennato in precedenza, lavoro molto su settori collaterali.

Sono, invece, occasioni per fare il punto sul proprio percorso, spesso per girare pagina dopo aver completato e sviscerato un’idea.

 

Dentro c’è la tua percezione del mondo, forse, ma quanto e perché?

Credo che se ti percepisci e ciò che sta intorno in chiave pessimistica, perdi interesse anche a fare arte.

Questa è l’unica attività che laicamente ci avvicina al mistero dell’universale esistenza che, a mio avviso, non aveva modo di autocrearsi dal niente.

Se abbracci questa necessità di ‘essere’ non casuale, vedi le cose dello spirito e il modo di esprimerti in rapporto a esse, come una urgenza.

 

L’Italia è sorgiva per gli artisti dei vari segmenti? Il Sud, la “vetrina ombelicale” milanese cosa offrono adesso?

Sono sostanzialmente uno che non ama molto spostarsi, anche se ho dovuto farlo.

Ma non al punto di trasferirmi in una città come Milano che permette di uscire dal ‘lazzaretto’ in cui noi napoletani stazioniamo.

Che dire, la nostra è una città magnetica che ti frega.

O forse è solo pigrizia.

E’ valido, comunque, l’assunto che, passato il Garigliano, i riscontri anche economici aumentano in direzione nord.

Non è un caso i ponderosi annuari e cataloghi di prestigiosi editori danno poco spazio alla realtà del sud.

 

Mi puoi indicare gli artisti bravi che hai conosciuto e con cui hai operato, eventualmente “a due mani”?

Con alcuni amici di vecchia data abbiamo realizzato in passato dei progetti condivisi, come con Sergio Spataro e Francesco Esposito.

Con ‘Estandoanapoli’, cartelle di lavori a tema, con testo di Luciano Scateni nel 1988, siamo stati a stretto contatto e, personalmente, ho trovato giovamento nella mia ricerca con la nostra interazione.

Poi, la collaborazione con Tiziana Baracchi di Venezia, seppure a distanza, ha, invece, prodotto mostre e pubblicazioni fino alla sua scomparsa prematura, alcuni anni fa.

 

Quali piste di maestri hai seguito?

Il mio maestro all’Accademia è stato Domenico Spinosa, ma ci trovavamo artisticamente su fronti opposti, anche se mi ha sempre seguito ed incoraggiato.

Certamente. mi ha interessato il Futurismo che vedevo come un movimento che aveva ancora molto da dire.

 

Pensi di avere una visibilità congrua?

Che dire, anche se fosse molta non basterebbe mai.

Siamo tanti e certe volte sembra di stare in un pozzo dove ognuno cerca di uscire alla luce mettendo i piedi su chi sta sotto.

 

Quanti “addetti ai lavori” ti seguono?

Nel tempo sono stati diversi, anche mercanti che sono ora merce rara.

Come critici alcuni mi seguono da molto vicino.

 

Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro?

Le opere che sto realizzando in questi ultimi tempi approfondiscono la dinamica, da lineare a evolutiva, di trasformazione.

Il vortice generativo.

 

Pensi che sia difficile riuscire a penetrare l’essenza dell’arte e comprendere le frontiere proiettive?

Nel mare magnum delle ricerche ed esperienze contemporanee sono ancora legato al concetto di base che deriva dai progenitori che creavano graffiti nelle grotte: esigenza di raffigurare, è vero, una realtà in prima battuta, ma, poi, con la pittura aniconica, di rappresentare con le immagini dei concetti, suggestioni, visioni soggettive, ma con valenze universali.

 

Quanti, secondo te, riescono a saper “leggere” l’arte contemporanea e a districarsi tra le “mistificazioni” e le “provocazioni”?

Confesso di avere io stesso difficoltà a discernere tra il gusto della ‘trovata’ mutuata dal mondo della pubblicità e proposte che hanno una discendenza diretta dalle ‘provocazioni’ dei dadaisti.

Col rischio di un manierismo mascherato.

Seppure da tanto l’arte contemporanea non si identifica con i materiali tradizionali, le contaminazioni tra tecniche e generi le trovo, comunque, interessanti.

Penso alle tecniche digitali e video che espandono la comunicazione non tradendo la valenza (e dico una brutta parola) … estetica.

 

I “social” t’appoggiano, ne fai uso?

Si, mi piace molto praticare Facebook dove dialogo col pubblico, anche con una buona interazione.

 

Con chi ti farebbe piacere collaborare tra critico, artista, promoter per metter su una mostra o una rassegna estesa di artisti collimanti con la tua ultima produzione?

Certamente, ho dei riferimenti tra i critici che mi seguono spesso da vicino, ma io stesso mi trovo a organizzare mostre con l’associazione Museo Minimo.

 

Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi impegni?

Certo, non basta più il classico invito, i social e il web sono indispensabili.

Poi, la carta stampata a sugello di cose fatte.

 

Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare l’arte in ambito scolastico, accademico, universitario e con quali metodi educativi esemplari?

Nota dolente il fatto che l’arte contemporanea non sia esattamente in cima all’interesse dei giovani.

Proprio sul web, però, ci sono tentativi di un certo successo divulgativo, nella scuola non saprei.

Per mia esperienza vedo che la “street art” attira di più questo pubblico, perché di facile comprensione.

Un passo indietro?

 

Prossime mosse, a Londra, Parigi, …?

Bah, se c’è l’occasione.

Ma non basta un’esposizione, ci vuole chi ti cura sul posto.

 

Che futuro si prevede post-Covid-19 e dopo le guerre Ucraina- Russia e Hamas-Israele?

In primis, speriamo di conservare un futuro.

Sono della generazione che ricorda la crisi di Cuba e l’orlo del precipizio.

Oggi stiamo quasi lì.

Il post-covid mi sembra abbia acceso gli entusiasmi e la voglia di fare.

Le guerre sono l’alimento del male personificato, imprevedibili.

 

Ti fa piacere essere stato qui con noi?

Sempre bello dialogare!

 

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