Storie di avi

                                                      Storie di avi

                                       Di Luciano Scateni

 

Nell’83, quando il ‘su e giù’ dei Campi Flegrei si acquietò, il Rione Terra, che sovrasta la rada dove dondolavano i ‘gozzi’, opera dei maestri d’ascia puteolani era mura sgretolate, finestre divelte, pietre e calcinacci ammucchiai alla meglio. Era uno scheletro, il simulacro di un villaggio di pescatori e artigiani del mare, di costruttori di barche, di povera, onesta gente e del mare che nasconde sbuffi sulfurei, bocche di sfogo del magma incandescente per fortuna in letargo a lungo, mai estinto. Case minime, spartane, ferite dalla violenza del sisma, sinistramente vuote, per abbandono coatto di evacuati nell’entroterra della via Domiziana, espropriati di radici antiche. La stanza racconta la scarna semplicità di chi l’ha vissuta. Una parete squarciata dal sisma conserva, protetta da plastica spiegazzata, l’immagine del porto di Pozzuoli, di un traghetto in partenza per le isole. È sopravvissuta al bradisismo mezza finestra con pochi frammenti di vetro, sbilenca. Sul davanzale di lavagna sbrecciata, in un porta fotografie in legno tarato l’immagine di due vecchi che devono aver faticato a sorridere, a disagio nel rispondere all’invito “cheese”. Nessun dubbio, sono gli avi del lei o del lui che hanno abitato questa casa modesta. Il perché di questa rivisitazione di un drammatico evento, della scoperta emotiva dell’immagine dei volti di una coppia di vecchi in una cornice in bilico sul davanzale di una finestra del Rione Terra? Una lettera di sollecito a narrare di una persona che non c’è più dal 1937, dimenticata dalla letteratura di settore che racconta gli artisti di un tempo che fu. Questa, firmata da Osvaldo:    

Mio nonno nasce nel 1888 e muore nel 1937, molto giovane. Vincenzo Balestrieri, è stato pittore scultore, decoratore, restauratore, abile nella manipolazione della cera con la quale, tra l’altro, faceva le maschere per i defunti. Di queste abilità si potrebbe parlare a lungo. Due esempi: Balestrieri collaborò alla realizzazione della culla di Maria Pia di Savoia, esposta alla Regia di Caserta, restaurò l’affresco di Mattia Preti che si trova a Porta San Gennaro. Prossimi all’otto di dicembre, alle festività natalizie, vorrei raccontare la nascita del laboratorio per la manifattura dei pastori Balestrieri. Era tradizione nella famiglia, di mia nonna Adele Ferrigno (cognome significativo nel modo delle statuine esposte in via Sa Gregorio Armeno) costruire il presepe. Era lei a completare ogni anno l’offerta dei pastori e il nonno si procurò un forno per ‘cuocere’ i pastori di cera. Il presepe davvero grande, circa tre metri, conteneva molte statuine. Ogni anno la nonna regalava ai parenti i pastori dell’anno precedente e ne collocava di nuovi nel presepe. Quelli in soprannumero li affidava al marito perché li portasse a San Gregorio Armeno, dove i Ferrigno, cugini di nonna Adele avevano bottega. Nel 1929 un evento favorì la costruzione dei pastori Balestrieri. In quell’anno, a causa della crisi economica, il nonno portò come al solito i pastori dai Ferrigno, che li rifiutarono per mancanza di risorse. Mio nonno ebbe l’intuizione di una modifica ‘rivoluzionaria per la produzione di pastori di creta. Bravo scultore, realizzò in bronzo tutte le sagome delle statuine, che fino ad allora nascevano da forme in gesso. La modifica apportò vantaggi straordinari: con le forme di bronzo i tratti erano più raffinati e precisi. Aumentò la velocità di produzione e inoltre le forme non erano soggette ad usura. Nei mesi precedenti il Natale del 1930, la produzione dei pastori andò a gonfie vele. Nel giro di pochi anni questo modello produttivo si diffuse e favorì l’esportazione, soprattutto nelle comunità napoletane nel mondo. Il laboratorio era la casa di mia nonna, alla via Veterinaria. Tra il 1930 e il 1936 la manifattura dei pastori costituì l’attività collaterale della famiglia e coinvolse alcuni collaboratori. Purtroppo, nel 1937 mio nonno finì, ma la produzione continuò e sostenne l’economia familiare. Furono coinvolte le figlie della nonna. La produzione continuò fino al ’63, anno in cui mia nonna smise di lavorare. Morì tre anni più tardi. Di questa alacre attività rimangono i racconti di mio padre e solo in parte i miei. Nel ’66 ero solo un giovanottino. C’è una domanda senza risposta: “Dove sono finite le forme di bronzo? Lo sapremo forse a seguito di questo racconto?

(nelle foto: Balestieri, ‘Bambina addormentata’, in bronzo dorato e ‘Culla’ in tartaruga, cammei, argento, donata dai napoletani a Maria Pia di Savoia, custodita nella Reggia di Caserta)

              

 

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