“Marionette”

“Marionette”

di Giuseppe Petrarca*

Nel tumultuoso contesto sociale, gli esseri umani sembrano annaspare in un caos nel quale si assottigliano le aspettative di giustizia e di solidarietà a favore di una diffusa depressione morale e civile che annienta le flebili istanze di speranza. Ecco perché possiamo ben dire, come scriveva Thomas Ligotti, nelle sue “visioni” sul futuro dell’umanità che “Ci muoviamo tra gli esseri viventi come marionette naturali con la testa vuota. […] Quelle marionette, marionette umane, siamo noi. Siamo imitatori folli dell’aggirarsi naturale in cerca di una pace che non avremo mai”. Non si può non concordare con questa visione tragica che ci rimanda alle fratture del mondo contemporaneo che non ha saputo realizzare una coesione d’intenti quando si è trovato di fronte al flagello pandemico e che, adesso, è alle prese con guerre sanguinarie che rendono la pace un’effimera chimera, un’illusione temporanea che si inserisce tra un conflitto e un altro, tra una contrapposizione e un’altra ancora. Un mondo in fiamme pronto a scannarsi per sete di potere, fino all’autodistruzione. Una visione pessimistica che occorre per sfuggire dall’orrore stesso dell’esistenza; perché più siamo consapevoli della nostra natura fallace e più possiamo allontanare gli inganni apparenti che si palesano sul nostro cammino, e i sogni, che restano miraggi volti ad appagare solo la fantasia della nostra mente. Siamo allora solo “imitatori folli dell’aggirarsi naturale”, perché ci sforziamo di imitare gli altri, scoprendo, con amarezza, che ognuno non è “persona”, ma in realtà, è solo una marionetta, mossa dall’apparato chimico, priva di una concreta stabilità, vittima di una generale illusione creata dalle nostre sinapsi cerebrali, e che da millenni perpetra l’equivoco fondamentale: quello di farci immaginare ciò che non siamo e che non saremo mai. Il senso che attribuiamo alle cose è anch’esso prodotto di quegli stessi processi chimici (le emozioni), senza i quali vedremmo il niente al centro del nostro essere; privati delle emozioni possiamo vedere come le marionette sembrino soltanto persone, le imitino, senza veramente esserlo. Perché se ciò che crediamo essere una persona è in realtà una marionetta, cos’è allora, questa cosiddetta “persona”, che imitiamo, senza riuscire mai a esserlo davvero? In questa società di massa dipendiamo sempre più dall’”info-obesità” a senso unico, veicolata dai social, che orientano le nostre scelte, le nostre idee, e perfino le nostre emozioni più intime. Come enunciava Giorgio Gaber nei suoi apprezzati monologhi, siamo “polli di allevamento” pilotati da entità di potere. Lo stile di vita è influenzato dai “manipolatori” che ci indicano la strada da seguire in un percorso già tracciato, dove è solo illusione cercare di ribellarsi e fuggire via. La cultura perfino è orientata dalle forze politiche e finanziarie che ne gestiscono il flusso di informazioni. Una “gabbia” apparentemente senza reticoli e catene, che ci “omologa” l’uno all’altro, spazzando via la vera essenza dello spirito critico. Non è una visione complottistica, ma reale istantanea sugli accadimenti della nostra società.  Per questo immaginiamo di essere, effettivamente, marionette: perché sappiamo che il nostro mondo è fatto di marionette, che i nostri affetti sono gli affetti di marionette, che il senso che diamo alle cose è il senso attribuito da marionette. Siccome siamo marionette e non potremo mai essere nient’altro che questo, allora perché lamentare la nostra condizione di marionette? In fondo, tutta la storia della filosofia, tutta la letteratura, tutta la civiltà sono state costruite da marionette, per marionette. L’orrore del Reale è provocato da questo sguardo nitido sulla nostra vera condizione, è come un lampo che ci rende consapevoli della nostra vera natura e dell’insensatezza esistenziale. Prenderne coscienza non è incitamento alla chiusura verso il mondo, non è ignoranza, ma analisi profonda della parabola esistenziale che raccoglie le nostre ansie e le frenetiche inquietudini. Per questo bisogna combattere l’indifferenza e la mancanza d’interesse a tutto ciò che “è umano”, come sentenziava Terenzio. La mancanza di partecipazione e di coinvolgimento negli aspetti sociali conduce a una deriva ferale che aprirà le porte all’età “dell’oro e dell’ignoranza”. Sarà prefabbricata ad arte e, piantata lungo il percorso del tempo, una serie di “dubbi” che semineranno paura e diffidenza verso il sapere scientifico. Una massa di “scettici” presteranno il fianco a informazioni contrastanti, senza mai approfondire, restando in superficie. Lo specchio ustorio ci viene dall’analisi di quanto è accaduto durante la pandemia: dall’iniziale rallentamento dove ogni cosa si era ammutolita, abbiamo cercato, gradualmente, di riprendere il percorso che si era interrotto. Sono stati mesi di immenso dolore, di silenzi cupi, di strade deserte. La riflessione preoccupante che invadeva il nostro pensiero era: “nulla potrà essere come prima”. Non mi riferisco alla qualità della vita sociale e alle condizioni economiche e sanitarie, che seppur molto deteriorate, hanno via via recuperato il gap determinato dall’immane catastrofe; quello che è emerso pesantemente è lo sconfortante disagio interiore, il malessere morale che si è abbattuto sulla società. Una società che ha reagito allo “schiaffo in pieno volto” girando la faccia, abbrutendosi ulteriormente. Noi, tutti noi, siamo inesorabilmente cambiati. Un cambiamento deleterio che non è stato, purtroppo, redenzione. Adesso, ci ritroviamo smarriti, inquieti, destabilizzati. Scontiamo un forte senso di disillusione che ci incattivisce e ci rende refrattari rispetto alle istanze degli altri. Non siamo più quelli dell’altra vita. In questo nuovo, assordante ritorno al presente, scruto negli occhi dell’umanità un senso di vuoto spaventoso. I difetti e le brutture di un tempo sono peggiorati, determinando un decadimento grave e ineluttabile. E’ un mondo peggiore questo che abbiamo di fronte, noi tutti siamo peggiori. La dura lezione non è servita a migliorare la nostra inclinazione distruttrice. In questo delirio collettivo avverto una malvagia assuefazione che intralcia le aspirazioni, rendendo illusoria anche la speranza di una spiritualità profonda che ci aiuti a sentirci “persone” e non “marionette”, liberandoci dalla paura di vivere.

Giuseppe Petrarca*

(Napoli, 1963) vive e opera a Napoli. Collabora con l’organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere. Ha pubblicato con Homo Scrivens una serie di “gialli sociali” ottenendo numerosi riconoscimenti come il Primo Premio al Garfagnana in giallo e il Premio Spoleto Festival con “L’avvoltoio”. Al suo attivo partecipazioni a diversi programmi Rai. Vincitore Premio M. Buonarroti con il racconto “Il coraggio di Nikolay”. Nel 2022 ha pubblicato il romanzo “La città puntellata” (Cento Autori Editore)

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