The day after

The day after

di Caterina Della Vecchia*

Cicatrici indelebili, tracce permanenti di ferite mai rimarginate, turbamenti, paura, insicurezza, dissennatezza, squilibrio psichico: sono tutti sinonimi di FOLLIA, una follia che abbiamo conosciuto a nostre spese e toccato con mano tremante e incredula e che resteranno perennemente nella nostra anima e nella nostra mente.  Assembramenti, distanze di sicurezza, dispositivi di protezione individuale, lockdown, Covid! Tutte parole nuove che hanno segnato la nostra mente cancellando in un baleno le nostre già labili sicurezze. Mascherine, schermi facciali, cronaca di gente che moriva come mosche, vaccini non sicuri, recidive per i fortunati che guarivano, bare allineate, anziani spariti senza poter dare l’ultimo saluto ai propri cari hanno gravato irreversibilmente sulla nostra psiche, scene che nessuno potrà mai dimenticare: è tutto dentro di noi con effetti devastanti per la nostra salute mentale. Non toccare, non uscire, lavare le mani, disinfettare gli abiti, fare attenzione alle buste della spesa! “La signora del piano di sopra ha il covid, anche il salumiere non l’ho più visto!”. Scuole chiuse, negozi chiusi, chiese vuote, strade deserte. Tutto chiuso, anche la nostra anima, la nostra voglia di vivere, i nostri stessi diritti, tutto messo in lockdown. “State a casa, state a casa, non uscite!”: ancora oggi tutto questo risuona nella nostra mente in modo martellante come una musica assordante, che ti rimbomba dentro ogni momento e alimenta quell’inquietudine e quello stato d’animo spento, forse triste, al quale non sai dare una spiegazione. Vorresti ribellarti ma non puoi, vorresti urlare ma chi ti sente? Vorresti chiederti il perché di tutto questo, se siamo sicuri che sia finita veramente. E a chi puoi chiederlo? Boh! Certe sciagure non mandano il preavviso e trovano impreparati anche i grandi scienziati che, all’improvviso, capiscono di non avere capito niente.

Si implode per poi esplodere come mine vaganti.  Una follia devastante che logora le nostre anime speranzose, ma mortificate per non avere sconfitto la pandemia, con la totale certezza di essere stati perdenti. Sì, siamo stati tutti sconfitti da un microrganismo non visibile a occhio nudo che si è preso gioco sia di noi sia dei potenti della terra. La nostra mente già provata è stata compromessa irreversibilmente dalla gravità della situazione, ancora non ce ne rendiamo conto. Siamo davvero delle mine vaganti, pericolose, pronte a deflagrare improvvisamente, quando meno te lo aspetti, dando sfogo alla follia. FOLLIA, quello stato di alienazione che respingiamo con forza, è una parola che incute tanta paura. Oggi la FOLLIA la portiamo dentro di noi, ma non abbiamo la forza di chiamarla per nome, con il suo vero nome. Ci convinciamo che se la teniamo chiusa dentro di noi nessuno la vedrà, proprio come fa la madre che sa di avere un figlio con problemi di ritardo mentale, ma lo nasconde agli occhi degli altri, per proteggerlo. FOLLIA è quella condizione psichica che rende incapaci di adattarsi alle regole della società, quella stessa società che ha paura del diverso e si barrica in un mondo fatuo e ipocrita. Tutto ciò che appariva allo stato latente è stato acuito e tirato fuori dalla pandemia. Essere costretti a vivere in uno stato di cattività come animali fuori dal proprio habitat naturale non poteva lasciarci illesi. L’animale che vive in cattività è una bestia feroce, capace di aggredirti senza motivo e l’essere umano sta facendo dell’aggressività il suo fortino. Il Coronavirus ci ha trattati come bestie, ci ha rinchiusi come tigri in gabbia con le conseguenze che trovo superfluo puntualizzare.  Una pandemia che dura circa 3 anni è devastante per la nostra mente costretta ad una pressione psicologica insostenibile, violentata da condizioni inumane imposte da un microrganismo che, ripeto, si è preso beffa di tutti noi e della nostra avanzatissima società. Quella società che discrimina, ma che, stavolta, ha reso tutti uguali nella sofferenza, mettendo all’angolo anche e, soprattutto, quelli affetti da sindrome di onnipotenza. Forse, per deformazione professionale durante il periodo di maggiore stress psicologico, ho testato  il territorio del quartiere in cui vivo in merito alla percezione della pandemia e ho intervistato persone di diversi strati  sociali,  dai cosiddetti meno abbienti  alla borghesia media e alta: ho avuto la certezza di quello che, comunque, percepivo, in quanto l’analisi dei risultati rivelava che, alla fine, le categorie meno protette economicamente e socialmente, hanno affrontato il fenomeno con maggior serenità e più saggezza, forse perché più avvezzi alla rassegnazione?

Forse, perché il popolo, o popolino, è in grado di tenere i piedi ben piantati a terra?

O perché queste persone credono che la sofferenza spetti sempre e solo a loro, avvezze a subirla, perché figli di un dio minore? Non lo so, posso solo raccontare alcuni episodi, anche divertenti, accaduti realmente durante il triste periodo.

Sono episodi indicativi di quanto la gente vera riesca a reagire positivamente alle difficoltà strappandoti un sorriso anche quando credi che il sorriso non faccia più parte della tua vita.

Ricorderete tutti che durante la pandemia bisognava mettersi in fila ovunque si andasse e aspettare il proprio turno. In queste code che si formavano ad esempio davanti a una farmacia o a un negozio di generi alimentari, indispensabili per la sopravvivenza, un orecchio attento e curioso non poteva esimersi dal farsi una risata o dal vivere un momento di distrazione. In una di queste enormi code davanti a una farmacia una signora anziana, dopo avere atteso il suo turno (si entrava 2 per volta se la farmacia era molto grande) chiede al farmacista: “Dottò scusate ma voi qui fate i MONOLOCALI? (monoclonale è il nome corretto del tampone). “No signò” risponde pronto il farmacista, “qui facciamo solo bilocali e villette a schiera”. Oddio, con tutti i soldi che stavano guadagnando, la signora poteva mai aspettarsi un monolocale? Sempre in farmacia: “Dottò scusate ma voi fate l’ANTIGIENICO?“ (tampone antigenico rapido è il nome vero), e man mano la signora si avvicina alla postazione dove si eseguono i tamponi. “Signò se non vi spostate l’ANTIGIENICO lo farete di sicuro”.

Dal salumiere invece, durante la solita fila da rispettare, una simpatica anziana, rivolta a un altro che vuole a tutti i costi scavalcarla, esordisce: “Ma voi vedete un po’, mò pure i furbi che vogliono passarti avanti, come se non bastasse ‘O CONA’D” (voleva dire o Covìd con accento in stile napoletano).

IL malcapitato pronto risponde: “e se o Conàd non vi piace perché non provate al CAREFUR?”.

Per fortuna, o purtroppo, a Napoli soprattutto fra la gente semplice si tende ad alleggerire anche i momenti più problematici e, talvolta anche le tragedie si trasformano in barzellette involontarie.  Il napoletano è sempre sopra le righe, diverso dagli altri anche quando valuta le cose e si esprime nel merito. Giusto per restare nella cronaca recente, quando ad esempio è morto Maurizio Costanzo tutta Italia ha dato la notizia con un laconico:    ”E’ morto Maurizio Costanzo”. A Napoli la notizia è arrivata così: “E’ morto Maurizio Costanzo show”. Ho trovato giusto la piccola divagazione per rendere l’idea che il riuscire a sorridere o ridere mentre si sta consumando un dramma, forse deriva dal fatto che in certi contesti la sofferenza è di casa e la si accetta sempre in nome di quel Dio minore che spesso dimentica di aiutare   anche  i più deboli.

Ritornando alla pandemia credo che la paura abbia preso il sopravvento ovunque e su tutti, senza distinzione di ceti e classi sociali: tutti tappati in casa, punto!   Pensate a un Biden che ha paura di uscire di casa, pensate a un magnate che improvvisamente scopre che i suoi miliardi non servono a nulla al cospetto di un “vermiciattolo” invisibile, a capi di stato, grandi attori, grandi registi, manager, banchieri, industriali, il gotha mondiale, tutti rinchiusi in casa per paura del vermiciattolo. Eppure, la loro arroganza e onnipotenza non ha aperto a nessuno spiraglio di umiltà verso l’immane tragedia che si stava consumando. Tutto questo la dice lunga e ci avrebbe dovuto indurre alla riflessione, e invece? Nulla!  Ci siamo chiusi in casa alla ricerca disperata dell’unica via di salvezza, l’isolamento, ci siamo fatti guidare dalla paura, anzi dal terrore, abbiamo fatto ricorso alla speranza e all’illusione, abbiamo scacciato i pensieri cattivi, abbiamo lottato contro l’ignoto, contro noi stessi;  e alla fine, mentre i potenti della terra dettavano leggi in termini di profilassi e le istituzioni prendevano posizioni (talvolta contrastanti) quella parte di popolo da sempre vittima di condizioni precarie e vessata dal potere, non avendo altre risorse, si affidava alla provvidenza o, comunque, alla fede. Alla fine, come spesso accade quando le armi a tua disposizione sono esigue, il ricorso alla fede diventa l’unico porto sicuro. La storia si ripete sempre uguale a se stessa, è l’eterna lotta tra umili e potenti, quella lotta narrata magistralmente un paio di secoli fa da Alessandro Manzoni che rese la più semplice e innocente protagonista del romanzo, Lucia Mondella, una figura vincente al cospetto di un potente di nome Don Rodrigo. Anche lei si era affidata alla Provvidenza che interviene nelle vicende umane e ci fa accettare e sopportare i guai perché, quando vengono, “la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore”.

Con la pandemia si sperava anche in un riscatto di umanità, in un miglioramento della specie e invece è stato il contrario. Quando l’essere umano si trova al cospetto della sua piccolezza, non regge il confronto con l’ignoto e, soprattutto, non regge la verità. Quando un popolo, una società, una comunità vive a lungo in uno stato di onnipotenza collettiva, nel momento in cui arriva una catastrofe misteriosa che ti fa scoprire di essere vissuto nell’illusione, ecco che si crolla, non ci si sente in grado di affrontare l’emergenza né di reagire; non si ha più coraggio, non si hanno più certezze, e allora la mente si difende rifiutando la verità. E quando la mente non accetta la dura realtà e oppone resistenza e rifiuto allora subentrano insensatezza e dissennatezza, termini che sono entrambi sinonimi di ”follia”.

La follia è sempre dentro di noi e si manifesta all’improvviso quando ragioni estranee alla nostra volontà ci pongono di fronte a situazioni più grandi di noi. Si chiama anche follia indotta da cause esterne: è quello che succede in ogni guerra, si tratta in ogni caso di follia indotta dalla paura: e, ancora oggi, siamo costretti a parlare di guerre, malattie, epidemie, alimentando la nostra follia, più o meno latente. Siamo rimasti a braccia conserte ad aspettare che l’horror finisse e che si potesse ritornare a sperare. Certo era l’unico strumento di difesa di cui disponevamo, ma tre anni sono lunghi e un’esperienza del genere non poteva non compromettere la nostra salute mentale, la nostra psiche.

La follia è dentro di noi, la follia non si cura, si nasconde, la follia fa parte del nostro essere, la FOLLIA siamo noi!

Caterina Della Vecchia*

Nata a Napoli dove è sempre vissuta, è titolare della C.D.V. con studio nella città di Napoli, iscritta con partita IVA all’albo dei liberi professionisti in qualità di Intervistatrice e supervisore in ambito socio territoriale e in ambito medico farmaceutico.

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