Letale promiscuità

Letale promiscuità

di Luciano Scateni

È palese e diffuso lo smarrimento di chi si riconosce nei fondamentali della sinistra e attiva la collaudata predisposizione per analisi a caldo, indagini introspettive, requisitorie e tentativi di sgattaiolare via dal tunnel buio della depressione. Le ragioni più evidenti di una sconfitta che ha radici affatto giovani nell’arzigogolare tutto teoria e zero concretezza, si ritrovano soffocate dalla messe copiosa di dietrologie e indicazioni terapeutiche amorevolmente tese a sanare il mal comune di incompatibili soggetti inglobati nella sigla ‘dem’ (più lievemente moderata non era possibile progettare), inabile dalla sua istituzionalizzazione a competere con il vizio italiano di affidare i drammi sociali a chi mostra i pugni e minaccia il ‘ferro e fuoco’ del qualunquismo, del prima noi, del ‘governo ladro’ e ‘quando c’era il duce lasciavi aperta la porta di casa.

La china su cui è progressivamente scivolato quel che fu il Pci, è diventata sempre più ripida e la fine della corsa non poteva che essere traumatica. La contaminazione di soggetti vecchi e nuovi del centrismo mascherato ha contagiato, gli ex di Pci, Ds, Ulivo, accolti nell’ospitale grembo ‘Dem’.
Il virus, privo di antidoti, di controllo del sistema immunitario, ha sottratto alla debole componente della sinistra interna il fil rouge residuale della storica connessione allo status di sofferenza di giovani e vecchi, operai e studenti, poveri e dimenticati. La componente di ex centristi, lo dicono i napoletani, “è trasuta ’e spighetto e s’è mis’ ‘e chiatto”, ovvero si è convertita al verbo dei dem, ma senza abbandonare l’empatia con la moderazione di ex Dc, socialdemocratici, liberali.

Nell’attacco al potere istituzionale hanno militato persone perbene, esemplare la leadership di Letta, come molti altri dem molto misurato, signorile e protagonista di bilateralismo: al mattino con Speranza, a sera con il nucleo di fuoriusciti da partiti di centro, un colpo al ferro, uno alla botte, cioè parità di dosi tra frequentazione di elementi progressisti e frenate di rallentamento.
Era possibile amalgamare i due poli interni? Forse, se a governare il popolo dem, uscito con le ossa rotte, si fosse investito il carismatico Landini o la fuoriuscita dal Pd Schlein, pronta a rientrare con la sua carica esplosiva di energia politica di sinistra.

Ai margini all’esito del voto, da celebrare con una messa funebre del Pd, un paio di news consolatorie.
Flop dell’uomo dalla parolaccia facile, delle chiassate televisive, condannato, espulso più volte dall’aula di Montecitorio. Ha concluso la sua oscena campagna elettorale in Emilia in costume da ‘Sgarbiman’.
Lo ha sconfitto Casini. Questa coda della bella notizia sminuisce di molto il favore con cui l’accoglie la sinistra, perché la vittoria di Casini conferma la promiscuità nel Pd di storici ex Dc vetero comunisti. Ovvero, un determinante perché della sconfitta elettorale del centro-sinistra-centro.

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