Il campo del sociologo

sociologia generale

Teorie / La lezione di Pierre Bourdieu
Il campo del sociologo

di Pasquale Martucci

La rivista “Le Sociologie” individua tra i suoi specifici interessi gli ambiti della e intorno alla sociologia, di cui ho argomentato nell’articolo sui confini, riferendomi essenzialmente alle posizioni di Max Weber (rigoroso metodo storico-comparativo) e di Franco Ferrarotti, che ha rilevato il rapporto tra osservatore/osservato, ed in particolare il ruolo del ricercatore/ricercato e del fare ricerca sociale.
Ho ricevuto diverse suggestioni interessanti rispetto alle argomentazioni esposte: ritenendo che sia importante, per i sociologi, rapportarsi al ruolo e alla possibilità di fare ricerca in sociologia, oltre che riferirsi alla professione del sociologo, intendendo ragionare sul come concepire i confini permeabili entro cui svolgere l’azione sociale e studiarne la realtà.
Gli ambiti sono anche intesi come campi: è la posizione di Pierre Bourdieu, di cui quest’anno ricorre l’anniversario della sua morte, avvenuta vent’anni fa, nel 2002, che ha impiegato la sua intera speculazione sociologica intorno alle nozioni di campo, habitus e pratica. A tal proposito, la casa editrice Armando un paio di mesi fa ha ripubblicato il volume: Il senso pratico, edito nel 1980, un’esposizione ricca e articolata delle tematiche relative a: habitus, corpo, pratica, dominio, capitale simbolico, relazione tra soggettivo e oggettivo. Il campo è uno spazio sociale dove le azioni che compiono le persone non sono né obbligatorie e determinate dalla struttura, né libere e determinate da scelte razionali. Esse sono automatiche, generate dall’esperienza pregressa e generante un nuovo bagaglio esperienziale. (1)
L’idea proposta riguarda proprio questi concetti, come prosecuzione delle argomentazioni precedenti. L’approccio di Bourdieu si realizza nella nozione di campo ed è riferita, ad esempio, ai classici che molti faticano a contestare. Marx, Weber, Durkheim devono essere considerati con e contro, perché la scienza è fatta per essere superata: occorre servirsi di ciò che uno studioso ha fatto per poterlo superare. Affermava che non si disconoscono i percorsi tracciati ma si integrano, cercando di apportare altre tesi, anche antitetiche, che comunque arricchiscono il dibattito e la crescita di una modalità di studio delle realtà sociali. Le parole del sociologo contribuiscono a costruire le cose sociali, e siccome il mondo sociale è abitato dalla sociologia reificata, “i sociologi dell’avvenire scopriranno di più nella realtà se studieranno i prodotti sedimentati dei lavori dei loro predecessori”. (2)
1. Questo scritto affronta il concetto di campo in sociologia, senza trascurare quello di habitus; nella parte conclusiva mi riferisco all’approccio del sociologo che fa ricerca, riprendendo il libro: Cose dette. Verso una sociologia riflessiva. (3)
Trovo interessante il volume curato da Massimo Cerulo (4), che riprende la conferenza tenuta da Bourdieu all’Università “Lumière” di Lione nel 1995, e riguardante i tre campi: campo politico, campo delle scienze sociali, campo giornalistico. Nel fare ricerca occorre oggettivare il soggetto dell’oggettivazione, ovvero il ricercatore. Decostruire il decostruttore, perché non può esistere una ricerca priva di autoriflessività e di coscienza storica: fare una riflessione su se stessi e compiere analisi storica per comprendere il processo che ha portato il ricercatore a scrivere o indagare su un particolare oggetto. (5)
Il campo, il capitale e l’habitus sono gli spunti per una sociologia relazionale, un modo di pensare relazionale. Nella sua analisi della realtà sociale quello che conta è l’insieme delle relazioni che tengono i soggetti. Il mondo si caratterizza per un rapporto dialettico, dove ogni elemento coinvolto influisce sull’altro, “in un processo continuo”, che trova “il suo dispiegarsi all’interno di particolari universi e mondi sociali”, chiamati appunto campi. Ciò avviene tra strutture oggettive e costruzioni soggettive, dove si relazionano beni materiali (risorse economiche norme sociali, istituzioni) e schemi mentali incorporati (comportamenti, atteggiamenti, emozioni, sentimenti). (6)
I campi sono tanti quanti gli ambiti del sociale, in cui gli agenti sono in lotta simbolica tra di loro. Essi investono in una sorta di gioco, in cui gli agenti sono competizione: chi entra nel campo instaura un rapporto che Bourdieu chiama illusio, e definisce: “la condizione del funzionamento di un gioco del quale essa è anche, almeno in parte, il prodotto”. (7)
Tra le persone coinvolte c’è un accordo nascosto e tacito che implica di lottare per le cose che si giocano in quel campo. (8) Ciò perché l’azione che guida gli agenti “consiste nell’acquisire l’autorità per indicare agli altri membri la visione dominante da adottare all’interno di quel particolare campo”. (9) Il campo ha il polo dell’autonomia (che si dota di regole di funzionamento) e dell’eteronomia (non può essere solo rivolto a se stesso, per non rischiare di implodere); dunque è dotato di aperture verso l’esterno. Il campo è lo spazio sociale, il luogo materiale e simbolico in cui viviamo quotidianamente; il capitale è lo strumento di lotta e azione sociale; l’habitus è la capacità di adattamento alle situazioni sociali. (10)
Nel campo le relazioni avvengono sulla scorta del capitale detenuto dall’agente. Significa che tutto avviene attraverso il capitale economico (risorse materiali), sociale (relazioni) e culturale (conoscenze). C’è poi il capitale simbolico, quelle risorse personali che ognuno ha dentro di sé e “che lo caratterizza socialmente”, oltre alla possibilità “di riconoscimento sociale per il quale si lotta quotidianamente”. (11) In: Meditazioni pascaliane, Bourdieu afferma: “Il capitale simbolico assicura forme di dominio che implicano la dipendenza nei confronti di coloro che esso permette di dominare: è infatti un capitale che esiste solo nella e grazie alla stima, al riconoscimento, alla credenza, al credito, alla fiducia degli altri, e può perpetuarsi solo finché riesce a ottenere che si creda alla sua esistenza”. (12)
2. Passo all’habitus, la capacità di vivere le situazioni; una specie di mappa dell’esistenza quotidiana, insieme di principi regolatori, di pratiche, di modi di porsi rispetto alle situazioni che si affrontano, ma è anche: “struttura strutturata e strutturante”, legata alle relazioni oggettive nelle quali gli agenti sono immersi, sia alle percezioni personali attraverso le quali ognuno incorpora le situazioni nelle quali vive. È struttura strutturante, in quanto organizza le pratiche e la percezione delle pratiche; è struttura strutturata, ovvero “il principio di divisione in classi logiche che organizza la percezione del mondo sociale esso stesso il prodotto dell’incorporazione della divisione in classi sociali”. (13)
L’habitus è quel faro che ci conduce, quell’istinto che ci fa prendere una strada al posto di un’altra, il senso pratico incorporato, che permette di prendere posizione all’interno del campo di gioco. È un corpo che ha incorporato le strutture immanenti di un mondo, di un campo “che struttura la percezione di quel mondo e l’azione in quel mondo”. (14)
L’habitus è elastico e si adatta ai frame sociali che sperimentiamo nel corso della vita. Habitus, capitale e mezzi di differenziazione sociale sono strumenti di azione e posizionamento sociale: essi ci permettono di agire e reagire all’interno degli ambiti sociali in cui, di volta in volta, siamo coinvolti. Dice Bourdieu: “il campo struttura l’habitus che è il prodotto dell’incorporazione della necessità immanente di quel campo o di un insieme di campi più o meno concordanti; (…) ma è anche una relazione di conoscenza o di costruzione cognitiva”. Per lui, “l’habitus contribuisce a costruire il campo come mondo significante, dotato di senso e valore”. Per sintetizzare, la realtà sociale esiste “nelle cose e nei cervelli”, “nel campo e nell’habitus”, “all’esterno e all’interno”, degli agenti. (15)
In realtà, i campi economico, sociale e culturale sono caratterizzati da rapporti di forza, dinamiche, mediazioni e violenze simboliche, habitus differenti e simili, rapporti di inclusione e esclusione (relazioni dialettiche). Le differenti sfere della realtà sono socialmente costruite dagli agenti. (16)
3. Sul ruolo del sociologo, riporto una citazione: “I sociologi distruggono le illusioni” (17), ovvero attraverso la ricerca scavano oltre l’ovvietà e l’omologazione. Per dire come gli ambiti vanno comunque affrontati con fare sociologico, per indagare le relazioni umane e “cogliere i rapporti di dominio e di violenza simbolica”. (18) Nel volume: Cose dette. Verso una sociologia riflessiva, si riferisce a fieldwork e all’“autoanalisi del sociologo”. Il sociologo parla con serietà, utilizza cautela, non “lasciandosi troppo ammaliare dalle sirene mediatiche e commerciali”, perché le sue azioni “se ben utilizzate contribuiscono a distruggere le illusioni sul mondo sociale”, in quanto la sociologia e la scienza devono svelare ciò che è nascosto. (19)
Per affrontare ciò, mi riferisco alle strategie, oggettivamente adattate alla situazione. Ad esempio, il gioco all’apparenza è razionale, eppure non è così, non ha ragione per principio. Pensiamo al giocatore che decide al di là della costruzione esperta dell’allenatore, che sarebbe dettata dal calcolo razionale. I giocatori invece si abbandonano alle intuizioni, dettate dal senso pratico, che è “il prodotto dell’esposizione durevole a condizioni simili a quelle nelle quali essi sono situati”. La conclusione è che l’habitus, come direzione di ricerca, intrattiene con il mondo sociale di cui è il prodotto una reale complicità ontologica, “principio di una conoscenza senza coscienza, di un’intenzionalità senza intenzione”. (20) Oltre, Bourdieu afferma che è il senso pratico è invenzione attiva inventiva, la capacità creatrice, che è quella di un soggetto che agisce, ed allora “la nozione di habitus è un sistema di schemi acquisiti funzionante allo stato pratico come insieme di categorie di percezione e giudizio o come principi di classificazione o come principi organizzatori dell’azione”. L’agente sociale è costituito come operatore pratico di costruzione di oggetti. (21) Sostiene: “Il sociologo scopre la necessità, la costrizione delle condizioni e dei condizionamenti sociali, fino al cuore del soggetto, sotto la forma di quello che io chiamo habitus”. (22)
Qui il sociologo rileva, porta alla luce. Una prima definizione riguarda la sociologia della conoscenza che è lo strumento della conoscenza per eccellenza, lo strumento di conoscenza degli strumenti di conoscenza. (23) È la sociologia della sociologia, la condizione della sociologia di superare la difficoltà di mettere in discussione la verità scientifica. È necessario superare la crisi dell’ortodossia e cercare una prospettiva, ed allora la sociologia pienamente compiuta deve inglobare una storia delle strutture che rappresentano l’esito di ogni processo storico. (24)
Bourdieu connette la conoscenza alla cultura che si acquisisce quando non si hanno problemi da porre, si può trascorrere la vita ad accrescerla, a coltivarla, o la si può utilizzare come una sorta di cassetta degli attrezzi, quasi inesauribile.
A questo punto, si pone la domanda delle domande: come gli agenti, specie coloro che operano per la conoscenza, possono cercare di raggiungere l’universale invece degli interessi personali?
Bourdieu riconduce al campo: in un determinato momento, la logica del gioco è tale che alcuni agenti mutano interesse nei confronti dell’universale. E qui il problema è l’autoanalisi, la conoscenza degli strumenti di conoscenza, determinati storicamente. Per sfuggire al relativo, si deve abdicare alla pretesa del sapere assoluto, “deporre la corona del filosofo re”. Sono le armi della critica riflessiva che ogni studioso deve rivolgere contro se stesso per avere qualche possibilità di essere razionale. (25)
Un’ultima questione riguarda l’interesse. Ci sono interessi variabili nel tempo e nel contesto all’infinito, perché ci sono delle poste in gioco in cui opera l’agente/sociologo. Entrano in gioco i rapporti di forza e di dominio. L’interesse è la condizione del funzionamento di un campo, e ciò permette alle persone di entrare in competizione. (26)
L’habitus presuppone condotte/azioni orientate ad un fine, senza essere il prodotto di una strategia cosciente o di una determinazione meccanica. È il funzionamento dell’habitus, come disposizioni acquisite nelle relazioni, che diviene “efficiente e operante” quando incontra “le condizioni della sua efficacia, ossia condizioni identiche o analoghe a quelle di cui esso è il prodotto”. (27)
In altri termini, l’habitus è generatore di pratiche di un universo simile. Gli agenti si lasciano andare alla loro natura, a quello che la storia ha fatto di loro, per essere naturalmente adattati al mondo storico con il quale devono confrontarsi, “per fare ciò che è necessario, per realizzare l’avvenire potenzialmente inscritto in questo mondo in cui essi sono come pesci nell’acqua”. Le azioni non sono il prodotto di un calcolo economico razionale, ma dell’incontro tra un habitus e un campo, tra storie adattate. (28)

Note:

1. Bourdieu P., Il senso pratico, Armando, 2022, or. 1980.
2. Bourdieu P., Cose dette. Verso una sociologia riflessiva, Orthotes, 2013, or. 1987, pp. 82-87.
3. Ivi.
4. Bourdieu P., Sul concetto di campo in sociologia, (a cura di) Cerulo M., Armando, 2010.
5. Ivi, p. 16.
6. Ivi, pp. 19-20.
7. Bourdieu P., Le regole dell’arte, Il Saggiatore 2005, or. 1992, p. 303.
8. Bourdieu P., Ragioni pratiche, Il Mulino, 1995, or. 1994, p. 136.
9. Bourdieu P., Sul concetto di campo in sociologia, cit., p. 21.
10. Ivi, p. 27.
11. Ivi, pp. 24-25.
12. Bourdieu P., Meditazioni pascaliane, Feltrinelli, 1998, or. 1997, pp. 174-175.
13. Bourdieu P., La distinction. Critique social du jugement, Èdition de minuit, 1979, p. 191; Bourdieu P., Campo del potere e campo intellettuale, Manifesto libri, 2002, p. 19.
14. Bourdieu P., Ragioni pratiche, cit., p. 139.
15. Bourdieu P., Risposte. Per un’antropologia riflessiva, Bollati Boringhieri, 1992, pp. 94-95.
16. Bourdieu P., Sul concetto di campo in sociologia, cit., p. 29.
17. Bourdieu P., Propos sur le camp politique, Presses Universitaire de Lyon, 2000, p. 45.
18. Bourdieu P., Cose dette. Verso una sociologia riflessiva, cit., p. 13.
19. Ivi, cit., p. 15.
20. Ivi, pp. 42-43.
21. Ivi, p. 45.
22. Ivi, p. 47.
23. Ivi, p. 48.
24. Ivi, p. 68-75.
25. Ivi, pp. 65-66.
26. Ivi, pp. 139-140.
27. Ivi, p. 142.
28. Ivi, pp. 142-143.

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