Sociologia delle relazioni tra individui biologici
Gli animali e Noi
Intervista a Maurizio Bolognetti
di Sergio Mantile
Domanda: Quando ero bambino, la mia famiglia abitò per un poco in via S. Eframo Vecchio, a Napoli, di fronte all’ex Canile municipale. Dalla finestra vedevo estrarre con spessi cappi di corda quei poveri cani dalle cellette del camioncino e poi trascinarli dentro. I miei genitori non mi dissero allora che cosa ne avrebbero fatto e quando, qualche anno più tardi, scoprii che li avrebbero uccisi con il gas, ci rimasi male. Ma anche stupito. Erano passati poco più di dieci anni dalla fine della guerra e dallo svelamento delle uccisioni di milioni di uomini con il gas e, tuttavia, si accettava con naturalezza la traslazione di quell’orrore sui cani. Bisognava liberare le strade dall’indecenza e dal pericolo dei cani randagi, proprio come i nazisti ritenevano di dover liberare i propri “spazi vitali” dall’indecenza e dal pericolo di esseri considerati inferiori, per l’appunto bestie.
Non ti sembra che con l’idea del contrasto alla bestialità l’uomo si permetta le più brutali bestialità?
Bolognetti: Io dico che in ogni vita di quello che voglio definire creato c’è tutta la vita. Di recente ho perso una dolcissima gatta, una piccola palla di pelo capace di slanci di generosità e affetto che raramente incontriamo nell’animale uomo, che spesso si comporta da bestia. Credo che la comunicazione non verbale, il guardarsi negli occhi e capire tutto dell’altro, del suo stato d’animo, sia qualcosa di liberatorio e meraviglioso. Parlarsi con gli occhi, con le mani, con il corpo. Penso a quante parole a volte si spendono per non dire nulla, ai bla bla bla vuoti di pseudo-intellettuali, al parlare che serve solo a confondere, al materiato di parole con il quale ci inondano; a lingue biforcute che ingannano e non parlano al cuore e alla mente degli uomini. Ecco, io con quella che è stata una compagna di giochi, di vita, con la quale ho condiviso i miei giorni e le mie notti, e che era parte di me e della mia famiglia, ho provato la gioia immensa del parlarsi senza parlare, del parlare una lingua sconosciuta. Sarà banale, sarà retorico, ma dico che avremmo davvero tanto da apprendere dai nostri amici a quattro zampe, noi che camminiamo eretti e viaggiamo verso un progresso distopico e spesso consumiamo noi stessi e le nostre vite. Mi ricordi dei cani eliminati nelle camere a gas? Penso che la specie umana nella sua storia sia stata capace di concepire atroci crudeltà, strumenti di tortura “raffinati” per infliggere dolore ai suoi simili. Troppo spesso trattiamo i nostri simili come spazzatura e credo che anche le cronache di questi giorni ce lo raccontino. Certo, e per fortuna, abbiamo prodotto anche altro; la gioia del pensiero di uomini che fanno ancora sperare in una reale evoluzione di una specie animale che da poco ha imparato a camminare su due zampe, ma che sta distruggendo e segando il ramo su cui essa stessa poggia. In definitiva dico che avremmo bisogno di più amore e meno odio e credo che avesse maledettamente ragione chi un tempo ha detto che amare è conoscere. Quando impari a conoscere, quando ti fermi ad osservare, a contemplare non puoi non amare ciò che la natura, Dio ci ha donato. C’è una superficialità che mi provoca i brividi e credo fermamente che chi non ama gli animali, chi pensa che siano dei giocattoli usa e getta, difficilmente potrà amare per davvero i suoi simili.
Chi maltratta gli animali ha l’inferno dentro o forse in quelle camere a gas di cui parli c’è “la banalità del male” di cui ci ha parlato Hannah Arendt. Chi non comprende il rapporto, che può instaurarsi tra un uomo e un’altra specie animale, dubito che possa in generale avere una reale empatia nei confronti di chiunque. Quanto a quelli che fanno spallucce e ti dicono frasi appartenenti al circo delle banali e umane bestialità, meglio stendere un velo pietoso. Ho trovato una bellissima preghiera qualche giorno fa e voglio citarla: “Oh mio Dio, ti prego, libera le tue creature dalle mani del male, libera le tue creature dai solchi del bisturi, dai veleni, liberale dal dolore che nessuno sente, che solo Tu conosci. Oh mio Dio, le Tue creature meravigliose, le tue creature che non conoscono né malizia né crudeltà, le Tue creature che ci hai donato perché potessimo amare, liberale! Oh mio Dio io soffro, perché sento le loro grida di silenzio, la loro solitudine nel freddo e nel sangue, le loro carni deturpate, lacerate, da chi non conosce luce, Ti prego, ferma queste mani che ti offendono!”
D.: Del resto, se la sensibilità pubblica per gli animali domestici è riuscita a trasformare i canili pubblici da bracci della morte in reclusori, talvolta cronicari, è anche vero che l’orrore delle modalità continua ad essere praticato nei macelli di gran parte del mondo. L’associazione Animal Equality ha ripetutamente documentato sia le condizioni pietose in cui versano molti allevamenti intensivi e sia la inaudita violenza che viene praticata sugli animali prima e durante l’uccisione. La motivazione di dover soddisfare un bisogno alimentare non ha nulla a che vedere, o ben poco, con la brutalità e la ferocia dei trattamenti. Piuttosto, sembrano valere ragioni di miserabile economia, di fame economica. Il fine alto – nutrire le persone – dovrebbe giustificare il mezzo violento. Che ne pensi?
Bolognetti: Premesso che personalmente non intendo più avvallare, per una questione etica, le gratuite crudeltà che vengono compiute contro altri esseri viventi, proverei anche a chiedermi di cosa è fatta quella carne che arriva nei nostri piatti. Chiunque abbia visto non le atrocità compiute in certi macelli, ma le condizioni disumane di un allevamento intensivo, credo che davvero debba fare uno sforzo enorme per poter inghiottire un cibo proveniente da un ciclo alimentare che, con la consapevolezza che ho oggi, mi fa orrore. Non voglio giudicare chi mangia carne e chi ritiene di dover continuare a mangiarla, ma quanto meno vorrei che tutti riflettessimo su un punto: tutto questo dolore che infliggiamo ci rende migliori? Aggiungo, anche se qualcuno lo dimentica o non lo sa, che una parte molto consistente di quelle che vengono definite emissioni climalteranti, giungono proprio dagli allevamenti intensivi. Vogliamo anche aggiungere che spesso, molto spesso, gli animali oltre a subire sevizie e torture dalla vita (se così possiamo definirla) alla morte vengono anche imbottiti di ogni sorta di schifezze? Non so perché ma mi viene in mente una delle scene più intense, drammatiche e commoventi del film “Il silenzio degli innocenti”, quando Clarisse racconta al dr. Lector degli agnellini macellati. La verità è che siamo figli della società del “produci, consuma, crepa” e possibilmente non pensare.
D.: Peraltro, per una breve ed apparente digressione sulla industria alimentare, consideriamo che l’obiettivo “etico” di nutrire quote in aumento di persone sembra motivare alcuni imprenditori del settore ad utilizzare in maniera crescente persino insetti nei loro prodotti. Non ti sembra che avvenga una sorta di omologazione di chi mangia e di chi viene mangiato (i pulcini maschi uccisi con triturazione ed utilizzati nell’alimentazione degli stessi polli – che non sono carnivori – e gli uomini che vengono indotti ad alimentarsi con quei polli, e con gli insetti trattati)?
Bolognetti: Mi limito ad osservare che di “etico” c’è ben poco in questa catena di montaggio. Credo che una civiltà evoluta possa e debba trovare altri sistemi per sfamare le persone. In ogni caso gli allevamenti intensivi sono un insulto, una bestialità, un’offesa a un senso di umanità che sempre più andiamo perdendo. Gli esempi che mi hai proposto raccontano tutto e, se non provassi orrore, potrei evocarne altri anche peggiori e immagini di luoghi in cui cani ammassati in gabbie vengono trattati con una tale violenza da farmi dire che mi vergogno di appartenere alla specie umana. Mettiamola così, forse ci stiamo mangiando l’anima e il senso della vita. Ci definiamo esseri superiori, ma superiori a cosa? Un animale anche quando caccia per sfamarsi non arriva nemmeno lontanamente ad esercitare la crudeltà e la violenza di cui siamo capaci.
D.: Sembra che un comune e terribile destino leghi noi uomini (uomini del processo di civilizzazione, uomini dell’empatia e delle buone maniere, dei conflitti e della aggressività regolamentati, uomini dell’etica globale) agli animali/bestie. Possiamo essere macellati sotto i bombardamenti, se veniamo considerati fastidiosi e pericolosi come cani randagi; o lasciati a morire di malattie, di fame e di sete come in un allevamento intensivo di animali da carne o da pelliccia, se si può trarre profitto dalla nostra morte. Cosa pensi a riguardo?
Bolognetti: Penso che nell’interessante film documentario “Capitalism a love story”, del regista “eterodosso” Michael Moore, si racconta tra l’altro la storia poco edificante di grandi società che stipulano polizze sulla vita dei loro impiegati e funzionari, di cui esse stesse sono beneficiarie. Tradotto: un impiegato morto, a volte, vale più di un impiegato vivo. Posso solo ripetere che c’è un’altra guerra, che non viene combattuta con missili, mine e fucili, ma che lascia sul terreno quotidianamente migliaia di vittime. Posso solo ripetere, fino alla nausea, che questo capitalismo cannibale sta divorando la vita di persone, Stati, comunità e distruggendo quel che resta delle nostre democrazie.
D.: Ricordo che agli inizi degli anni Ottanta, un sociologo, peraltro acuto e intelligente, indicava l’adozione in via di forte espansione, soprattutto presso i ceti medi, di animali domestici, come compensazione del bisogno di genitorialità per i figli che non venivano più procreati. Quella osservazione era a mio parere in buona parte congrua; ma, in altra e più ampia parte non teneva sufficientemente conto del fatto che la natura stessa tende a regolare la prolificità di un gruppo umano in base alle probabilità di successo vitale della propria prole. Per cui, come ben sappiamo, abbiamo un tasso di fertilità elevatissimo presso quelle popolazioni dove la mortalità infantile è ugualmente alta ( e l’aspettativa di vita è tra i trenta ed i cinquant’anni) mentre, come accade da noi, e indipendentemente dalle pratiche anticoncezionali, si riscontra una crescente difficoltà delle coppie a procreare. Non è possibile, allora, che il bisogno di amare gli animali, il bisogno di interagire affettivamente con essi sia anche un bisogno profondo di ricollegarci alle radici della nostra umanità? Alla nostra innocenza, affettività e creatività?
Bolognetti: Intanto lasciami ricordare che, secondo un rapporto dell’Unicef, l’Italia è tra i paesi con un altissimo tasso di povertà infantile. Nel rapporto citato si sottolinea che “il 17% della popolazione minorile, pari a 1.750.000 minori, vive sotto la soglia di povertà” e che “l’Italia compare al 23° posto (su 29) nell’area OCSE per quanto riguarda il benessere materiale” dei bambini.
Francamente non so se il nostro rapporto con quelli che definiamo animali domestici nasca da un bisogno di genitorialità insoddisfatto; devo dire che la cosa mi convince poco. Di certo oggi mettere al mondo un figlio significa assumersi una grande responsabilità ed è altrettanto certo che la grave crisi socio-economica non invogli a mettere al mondo figli. Questo per non dire che il nostro è un Paese che fa davvero poco per alimentare la voglia di genitorialità.
Io dico che dovremmo iniziare a familiarizzare con una bella parola: BIOFILIA. Ecco, più Biofilia e meno necrofilia, ad iniziare da una informazione necrofila.
Per me, e mi ripeto, amare un animale, del quale non mi sento padrone, ma piuttosto amico, compagno, significa connettersi con una parte animale perduta e preziosa. Vivere con un cane, con un gatto ti mette in connessione spirituale con cose perdute e sottovalutate. Vivere con un amico a quattro zampe ti fa apprezzare l’intensità di una comunicazione priva di sovrastrutture, qualcosa di liberatorio e osservarli, osservare la loro gioia di vivere, il poco che li rende felici, la loro capacità di darsi, di amare, ti fa crescere, ovviamente a patto che si crei un rapporto di vera reale empatia. Significa riscoprire una parte buona della nostra animalità.
Consentimi di chiudere questa mia risposta citando il grande filosofo e giurista lucano Francesco Mario Pagano: “La natura un patrimonio comune ha concesso agli uomini tutti, ha legato loro un’ampia eredità, la quale è questa madre terra, dal cui seno prodotti gli ha, e nel seno della quale gli ha piantati e radicati. Se tu uomo mortale, distendi la tua mano e la tua forza di là del confine, che ti segnò la natura, se occupi dei prodotti della terra tanto, che ne siano offesi gli altri esseri tuoi simili, e manchi loro l’esistenza, tu proverai il riurto loro, il tuo delitto è la invasione, il violamento dell’ordine, la tua pena è la distruzione”.