DA NEW YORK A NAPOLI

                           DA NEW YORK A NAPOLI

 

 Di Anna Maria Giulia Vernacchia

 

 

 

Un parallelismo che ha preso spunto dal libro “Delitto al S. Carlo” al quale ho contribuito con una prefazione in chiave sociologica.  Scritto da Carmine Senatore, professore, ora in pensione, di scienze naturali, chimica e geografia al liceo scientifico statale “E. Medi” di Battipaglia, e da Donatella Palazzo, psicologa.

Lo scenario è quello del Teatro San Carlo uno dei più famosi e prestigiosi al mondo. Per la prima volta al San Carlo di Napoli va in scena New York con “West Side Story”, uno dei musical di maggiore successo mondiale, con l’allestimento della compagnia tedesca BB Promotion. L’emergere della questione giovanile nelle metropoli americane dei primi anni Cinquanta suggerì agli autori di mettere in scena la rivalità venata di odio razziale tra due bande di quartiere, i sedicenti ‘americani’ dei Jets e gli immigrati portoricani degli Sharks. La storia si ispira alla tragedia di “Romeo e Giulietta”. L’idea di trasporre il dramma shakespeariano nella New York del XX secolo fu quella di mettere in risalto i problemi brucianti della delinquenza giovanile, del razzismo e della violenza con la sua vita crudele e disperata, ottusamente rinchiusa nei microcosmi dei suoi quartieri. New York città amata e odiata che trascina nel suo gorgo oscuro il destino amaro di tutti i personaggi. L’intreccio, tra il dramma teatrale “West Side Story” e il dramma letterario “Delitto al S. Carlo” mi viene da definirlo come “il dramma nel dramma” che alla lontana si accosta ad una magrittiana maniera di rappresentare “il quadro nel quadro”, una sorta di surrealismo con uno sguardo molto lucido e sveglio sulla realtà odierna di Napoli, proprio come in una delle tante opere di Magritte nelle quali “il quadro nel quadro” ha lo stesso identico aspetto della realtà che rappresenta. Delitto al S. Carlo è un romanzo corale in cui le parti dei personaggi sono armonicamente fuse tra loro senza che nessuno assuma il rilievo di protagonista assoluto sebbene la vicenda ruoti intorno alla morte di un clochard, assassinato misteriosamente. L’assassinio di Michele avviene in uno spazio delineato e definito che è appunto quello del teatro S. Carlo, ammazzato proprio nel momento in cui viene rappresentata l’uccisione di Tony per mano di Chino. Due storie unite dalla morte dove i protagonisti vengono uccisi nello stesso istante, due vite spezzate che raccontano il dramma della loro esistenza e dei loro luoghi di appartenenza. Delitto al S. Carlo non è solo un romanzo che racconta la storia di un clochard, è molto di più, è un romanzo sociale ampliato da uno “sguardo sociologico”. Gli autori non si limitano a tratteggiare la vita dei ceti sociali economicamente svantaggiati ma ne denunciano una situazione di sopruso del potere della malavita organizzata. Questo aspetto va letto all’interno di un discorso più generale che è quello di come la società si presenta all’esperienza soggettiva con caratteri spesso coercitivi, nel senso che essa sembra in grado di permeare le azioni e i pensieri degli individui condizionandone i comportamenti. Infatti, non a caso, il parallelismo tra New York e Napoli, due delle città più belle del mondo, evidenzia come dei fenomeni sociali, nel primo caso l’odio razziale e nel secondo la malavita organizzata, costituiscano, al contempo, sia gli effetti di una determinata organizzazione sociale e sia la causa che condiziona il percorso di vita individuale. Intorno all’assassinio di Michele ruotano una serie di personaggi che a mano a mano vengono dispiegati nell’intersecarsi delle loro vite come in una sorta di matrioska, l’una nell’altra, dove il “seme” è rappresentato dalla malavita organizzata che nella sua “invisibilità” decide delle vite altrui. I personaggi descritti assumono quasi tutti lo stesso rilievo, è come se gli autori volessero raccontare proprio tutto delle loro vite rendendoli “protagonisti”. Attraverso questa operazione gli autori ancora una volta allungano lo “sguardo”, è lo sguardo di chi vede gli isolati, gli esclusi, i respinti, gli emarginati, di chi senza pregiudizi si limita a dare vita all’esistenza. Il limite non è posto come barriera ma piuttosto come limite al giudizio che pone gli autori di fronte ad una serie di domande che definiscono “sgarro letterario” e con questa originalità gli austori si sottraggono al controllo della mente e si esimano dal trovare un colpevole, sovvertendo ogni regola cambiano la trama del romanzo demandano al lettore la facoltà di trovarlo. Il romanzo è scritto con uno stile semplice, asciutto, sobrio, privo delle minuziose elaborazioni espressioniste, l’oculata scelta stilistica degli autori permette di tracciarne anche una linea storica che ne dà, appunto, una visione d’insieme senza appesantirne il contenuto ma esaltandone il contesto che trova la sua ragion d’essere in radici remote.

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