DIRITTO E SOCIETÀ NELLA CULTURA POPOLARE NAPOLETANA

DIRITTO E SOCIETA’ NELLA CULTURA POPOLARE NAPOLETANA

 

 

 

di Sergio Zazzera*

 

Intorno alla metà del secolo scorso, in seno a una corrente di giuristi (Giorgio Balladore Pallieri, tra i primi) e sulla scia della c.d. teoria istituzionistica, formulata diversi decenni prima da Santi Romano, si formò l’idea dell’inutilità (bontà loro!) della sociologia, poiché le uniche scienze della società sarebbero state quelle giuridiche. Il disaccordo, nei confronti di questa corrente, fu manifestato da quanti osservavano che, in realtà, il diritto poteva costituire soltanto la scienza di quella particolare forma di società, che è lo Stato, non già anche di tutte le altre. In proposito, il mio Maestro, Antonio Guarino, non mancava di ricorrere alla formula icastica: “il diritto è prerogativa soltanto di chi può battere moneta” (leggi, per l’appunto: lo Stato), con il corollario che il “cosiddetto” diritto canonico e il “cosiddetto” diritto internazionale non potevano essere considerati “diritto”, perché non promanavano da uno Stato, tant’è che le sanzioni previste dalle rispettive normative collocavano gli autori delle condotte sanzionate all’esterno delle comunità di appartenenza (si pensi alla scomunica), laddove – egli aggiungeva – il carcere si trova all’interno dello Stato.

Ora avvenne che, verso la fine del secolo passato, a una studentessa di una delle Università napoletane fosse assegnata una tesi di laurea di Sociologia giuridica, sul tema della concezione del diritto tra il popolo napoletano; e come testo-base della ricerca le fu suggerito un volumetto – Pe’ deritta regula… (Edizioni napolitane de il Sebeto; oggi introvabile), che, pochi anni prima, insieme con gli amici Augusto Crocco, Orazio Dente Gattola e Mario Finizio (rispetto ai quali sono l’unico superstite), pubblicammo, raccogliendovi e commentandovi i proverbi napoletani di contenuto giuridico, proprio con la finalità di compiere una verifica analoga a quella della suddetta tesi di laurea. Mai, però, avremmo potuto immaginare che questo volumetto potesse essere assunto a testo-base di una dissertazione accademica.

Riepilogo qui, in maniera estremamente sommaria, alcuni di risultati della nostra ricerca, perché la correttezza (o non) della nostra verifica possa passare attraverso il vaglio dei sociologi di professione:

  1. ‘A nicessità rompe ‘a legge è vistosamente ispirato all’esimente dello stato di necessità, riconosciuta dall’a. 54 c. p., mentre si pone in contrasto col principio del diritto internazionale, secondo cui necessitas facit legem.
  2. Artìculo quinto: chi tène ‘mmano ha vinto coincide perfettamente col principio affermato dall’a. 1170 c. c., in materia di manutenzione del possesso.
  3. ‘A ccà ‘e ppèzze e ‘a ccà ‘o ssapone esprime l’idea del contratto con effetti reali, vale a dire dello scambio contestuale tra cosa e prezzo.
  4. Carta canta cannuόlo è l’espressione della prevalenza della prova scritta su qualsiasi altro mezzo di prova (orale, logica, ecc.).
  5. Chi è puntuale è patrόne d’’a sacca ‘e ll’ate è un chiaro riferimento all’esatto adempimento dell’obbligazione, con particolare riguardo al tempo convenuto, come previsto dall’a. 1183 c. c.
  6. Chi fatica d’’a festa niente lle resta si pone in netto contrasto col principio della maggiorazione retributiva per il lavoro festivo, prevista, ormai in maniera costante, dai contratti collettivi di lavoro.
  7. Chi se guarda ‘o ssujo nun fa latro a nisciuno è in piena sintonia, sia col principio romanistico, secondo cui vim vi repellere licet, sia con quello della legittima difesa, espresso dall’a. 52 c. p.
  8. Chi te sape t’arape richiama l’idea del c.d. “basista” nell’attività preparatoria del furto.
  9. Comme pavazio pittazio è un chiaro riferimento ai contratti sinallagmatici, ovvero a prestazioni corrispettive.
  10. ‘E peccate ‘e mamma e pate ‘e cchiagno i’ ca so’ ll’erede può riferirsi tanto alla trasmissibilità della soggettività passiva nei rapporti obbligatori, quanto alla responsabilità oggettiva, di cui all’a. 40, co. 3, c. p.
  11. Giacchino mettette ‘a legge e Giacchino fuje ‘mpiso è la netta affermazione dello Stato di diritto, nel quale anche il sovrano è soggetto alla legge.
  12. I’ teng’i’ ‘o puόrco ‘mmano evidenzia la condizione del contraente più forte nei contratti-tipo e in quelli per adesione.
  13. L’òmmo cu ‘a parola e ‘o vojo cu ‘e ccorna, che corrisponde al brocardo Cornu bos capitur, voce ligatur homo, ha riguardo all’affidamento che ciascuna parte di un rapporto obbligatorio fa sulle dichiarazioni verbali dell’altra.
  14. Mazza e panella fanno ‘e figlie belle; panella senza mazza fanno ‘e figlie pazze è un criterio che poteva valere nel mondo romano, che riconosceva al pater familias, addirittura, il ius vitae ac necis sui figli, mentre nel mondo moderno gli aa. 571 e 572 c. p. puniscono, rispettivamente, l’abuso di mezzi di correzione e i maltrattamenti in famiglia.
  15. Meglio ‘nu mal’accordo e no ‘na causa vinciuta è un evidente riferimento alla conciliazione delle liti giudiziarie, di cui all’a. 185 c. p. c., che è, addirittura, privilegiata in materia di controversie di lavoro (aa. 410 e 420 c. c., come novellati dalla l. 11.8.1973 n. 533) e di locazione (aa. 44, 46 l. 27.7.1978 n. 392).
  16. Napule fa ‘e peccate e ‘a Torre ‘e sconta trova riscontro, oltre che nella già ricordata responsabilità oggettiva (a. 40, co. 3, c. p.), anche nel diritto sportivo, il cui codice di giustizia punisce (attraverso l’a. 7, co. 1) le società che ospitano gare per i fatti commessi dai loro sostenitori.
  17. ‘Nu mariuolo ca arrobba a ‘n’atu mariuolo, chiàgneno ‘e pprète d’’a via contrasta in maniera assoluta con l’insegnamento della dottrina penalistica, che considera punibile anche il furto della cosa di provenienza furtiva.
  18. Patte chiare e amicizia a lluόngo recepisce il principio della buona fede in contrahendo, affermato dall’a. 1337 c. c.
  19. Sabato è giunto: allarga ‘a mano e allonga ‘o punto è in evidente contrasto con l’obbligazione dell’appaltatore di eseguire “a regola d’arte” il lavoro commissionato, che si può desumere dall’a. 1682 cpv. c. c.
  20. Si ‘o carro nun se serόgne, nun cammina contrasta, in maniera assoluta, con la repressione dei reati di corruzione e concussione (aa. 371-322 c. p.).
  21. Una mamma ha fatta Dio corrisponde al brocardo Mater semper certa est (pater numquam), per quanto oggi con la c.d. maternità surrogata le idee comincino a essere alquanto confuse.
  22.  

Sergio Zazzera*

Già magistrato di Cassazione; ora giornalista, direttore del periodico Il Rievocatore.

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