Uomini e animali, un approccio sociologico

sociologia generale

Uomini e animali, un approccio sociologico

di Nora Lonardi

«Dobbiamo imparare a interagire con gli animali in maniera corretta»


L’argomento del forum di questo numero potrebbe apparire del genere “leggero”. In realtà lo è meno di quanto si possa pensare, al contrario può stimolare importanti riflessioni.
Non intendo addentrarmi nel merito della pet therapy, ossia l’approccio alla malattie e alla persona che ne soffre tramite l’efficacia terapeutica della relazione con animali da compagnia, ampiamente provata da molti studi scientifici. Medici, paramedici, psicologi potranno argomentarlo meglio di chi scrive.
Vorrei invece proporre un contributo sociologico a livello più generale.
Mi aggancio a quanto scritto in un precedente intervento sul rapporto fra animali umani e animali non umani, in particolare all’inscindibilità della relazione uomo e natura. Sappiamo bene quanto sia fondamentale ai fini della nostra sopravvivenza la tutela e il rispetto della natura, anche se poi spesso i comportamenti umani effettivi vanno nella direzione opposta. Rimane il fatto che la salvaguardia della natura è considerato oltre che un dovere e una necessità, anche un valore etico e sociale.
Cosa intendiamo con il termine di valore? A questo riguardo vorrei riprendere la definizione riportata nel Dizionario di sociologia: “Concezione di uno stato o condizione di sé o di altri, o di sé in rapporto ad altri oggetti e soggetti – inclusa la natura ed esseri sovrannaturali – che un soggetto individuale o collettivo reputa specialmente desiderabile – sia esso da raggiungere o da conservare – ed in base al quale giudica la correttezza, l’adeguatezza, l’efficacia, la dignità delle azioni proprie e di quelle altrui” (Luciano Gallino, Dizionario di Sociologia).
L’essenza del valore è quindi duplice: desiderabile e giudicante.
In che modo questo ci riporta agli animali domestici? Anzitutto anche loro, come gli animali in genere, sono esseri naturali e senzienti, e nella catena di mediazione fra natura ed esseri umani sono sicuramente i più “vicini” a noi.
L’addomesticamento in origine aveva per lo più un significato utilitaristico. Il cane, discendente dal lupo, aveva (e ha tuttora) una funzione di difesa (degli animali da pascolo e anche personale), mentre il gatto teneva lontani i topi dalle abitazioni. Nel tempo alla relazione utilitaristica, che per molti aspetti permane, è venuta ad aggiungersi una relazione di tipo affettivo, dovuta anche alla grande capacità, propria in particolare di cani e gatti (ma non solo) di interagire con l’essere umano in vario modo, attraverso il gioco, lo scambio di effusioni, il prendersi cura reciproco, grazie anche all’abilità animale di esprimere e percepire stati emotivi. Al valore prettamente utilitaristico si è aggiunto, se non del tutto sostituito, un valore affettivo. Non tutti certo amano gli animali, ma chi li accoglie nella propria vita solitamente li ama e la relazione che si instaura costituisce in qualche modo un unicum, un affetto speciale seppure diverso rispetto a quello che si instaura nelle relazioni affettive fra esseri umani. L’amore per un animale viene vissuto di fatto come un valore aggiunto alla propria vita personale, un arricchimento.
Questo “riconoscimento valorizzante dell’animale” è stato pienamente riscontrato da una ricerca condotta nel 2013 su scala nazionale da GfK EurisKo, che ha per titolo “Gli animali da compagnia. Il valore sociale e relazionale“, dove si dimostra chiaramente la funzione non solo affettiva, ricreativa, emozionale e consolatoria, ma anche educativa e formativa della convivenza con animali da compagnia, nonché la propensione a migliorare i propri stili di vita e anche le relazioni con gli altri. “Possiamo dire che si tratta di un plebiscitario riconoscimento di «benessere» da collegarsi con i desideri di «vita buona» che caratterizzano il mainstream (tendenza comune, ndr) della popolazione italiana, oggi in particolare.
Tornando quindi al significato duplice di valore, sicuramente la relazione con un animale di compagnia rappresenta “uno stato o una condizione specialmente desiderabile”; ma anche l’aspetto etico, giudicante è presente. Pensiamo all’indignazione che la maggior parte di noi prova verso atteggiamenti di incuria, abbandono e ancor più verso il maltrattamento fisico e psichico degli animali (domestici e non). Di fatto la legislazione inquadra questo comportamento come reato da punire civilmente e penalmente.
L’attribuzione di valore include dunque il concetto di rispetto, e a questo proposito è importante sottolineare che rispettare l’animale implica anche il riconoscerne la specificità. Valorizzare l’amico a quattro zampe non significa umanizzarlo, atteggiamento non infrequente che porta a violare la loro reale natura, i loro istinti e le loro necessità, che rimangono comunque differenti da quelle umane, nell’ambito comportamentale come in quello alimentare. Atteggiamenti e “pretese” portati all’estremo, anche se inconsapevolmente e in buona fede, possono influire negativamente sulla loro psiche, oltre che costituire una forma di amore malato che certamente non giova nemmeno alla persona.
Come in ogni convivenza, anche in quella con i nostri amici animali si deve imparare a interagire in maniera equilibrata e serena, definendo i reciproci spazi. Se l’animale valorizza la nostra vita, si deve amarlo e portargli rispetto, giudicando quindi “la correttezza, l’adeguatezza, l’efficacia, la dignità” delle nostre azioni nei suoi confronti. Ciò che, per quanto evoluti, gli animali non possono fare. Spetta dunque all’umano il dovere di assumersi tutta la responsabilità che implica la relazione con un animale domestico, nonché dei suoi comportamenti verso noi stessi e gli altri. Senza questa autoresponsabilizzazione, meglio evitare.

(Articolo pubblicato per gentile concessione dell’Autrice e del direttore di NOS Magazine, www.nosmagazine.it , Sandro De Manincor)

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