Emigrazione: le contraddizioni dell’abbandono

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Globalizzazione

Emigrazione: le contraddizioni dell’abbandono

di Pasquale Martucci

I dati sono impietosi, quasi 6 milioni di italiani ormai risiedono stabilmente all’estero e privano il nostro Paese di risorse umane determinanti per la crescita e lo sviluppo. Le analisi dimostrano che il fenomeno andrebbe studiato attraverso ricerche puntuali e congrue, per comprendere il perché i giovani abbandonano l’Italia ed attuare così iniziative ed interventi mirati.

Dall’Italia non si è mai smesso di partire e di arrivare, anche se la popolazione di cittadini italiani ufficialmente iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) ha superato quella degli stranieri regolarmente residenti sul territorio nazionale. Si tratta di un’Italia interculturale in cui l’8,8% dei cittadini regolarmente residenti sono stranieri, in valore assoluto quasi 5,2 milioni, mentre il 9,8% dei cittadini italiani risiedono all’estero, oltre 5,8 milioni.
Questi sono i dati recenti resi noti dalla ricerca 2022 della Fondazione Migrantes: Il Rapporto Italiani nel Mondo 2022. Mobilità italiana: convivere e resistere nell’epoca delle emergenze globali, a cura di Delfina Licata, Tau Editrice, 2022.
Leggendo quello studio, si avverte una dicotomia persistente tra cittadini italiani residenti all’estero e italiani nel mondo, ovvero “persone che si possono ritenere appartenenti a una sorta di diaspora italiana in rapporto alla loro origine e all’identificazione con le proprie radici nazionali e culturali”.
Essere cittadini italiani che si spostano all’estero, non può essere ricompreso nel modello classico di emigrazione, mobilità, anche perché la prospettiva è diventare cittadini italiani che vivono nel mondo: sono le seconde generazioni nate all’estero oppure coloro che fanno richiesta di acquisire cittadinanza italiana dall’estero. A tal proposito, negli ultimi tempi si è affermata la definizione di italiani globali, perché le precedenti analisi non tengono conto della “complessa articolazione che contraddistingue il profilo dei cittadini residenti fuori dai confini nazionali”.

Dal 2006 ad oggi la presenza degli italiani all’estero è progressivamente cresciuta passando da 3,1 milioni a oltre 5,8 milioni. Oggi gli italiani risultano residenti in ogni luogo del mondo e ogni singolo territorio italiano ha visto in passato, e continua a vedere oggi, gli italiani partire e abbandonare i confini nazionali. Se il termine con il quale è stata definita l’esperienza migratoria italiana ai tempi della Grande Emigrazione è diaspora, con una valenza negativa perché sottende la costrizione alla partenza, le partenze di oggi implicano differenti e diversificate condizioni perché legate ad un salto di qualità rispetto ad un’emigrazione consolidata. La percezione non è più legata a svilimento e perdita, ma ad opportunità di incontro e di arricchimento reciproco con modelli culturali diversi.
Una mobilità circolare, come è quella in cui sono inseriti i recenti flussi degli europei, e quindi anche degli italiani, è un movimento diverso maturato a seguito dei processi di globalizzazione del lavoro, delle economie, delle società. È questo il salto culturale che l’Italia (e non solo) è chiamata a compiere: interpretare la migrazione non come abbandono di cose, persone e luoghi, ma come spinta ad “andare verso”, senza farsi guidare da eccessivi entusiasmi, ma comunque avendo il timore dell’incertezza. Ciò significa che il mettersi in cammino può anche indurre a nuove esperienze, rivitalizzare progetti e percorsi individuali e/o di famiglia.
Il problema semmai è legato all’allarme lanciato lo scorso 8 novembre 2022 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha ricordato la necessità di garantire coloro che intendono rimanere a vivere o desiderano tornare in Italia. Il riferimento è ai giovani con alto livello di formazione che non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione.

Veniamo ai riscontri del Rapporto. L’attuale comunità italiana all’estero è costituita da oltre 841 mila minori (il 14,5% dei connazionali iscritti all’AIRE), moltissimi di loro nati all’estero, ma tanti partiti al seguito delle proprie famiglie. Ai minori occorre aggiungere gli oltre 1,2 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni (il 21,8% della popolazione complessiva AIRE). Una popolazione giovane, che parte e non ritorna, spinta da un tasso di occupazione dei giovani in Italia, tra i 15 e i 29 anni pari, nel 2020, al 29,8% e quindi molto lontano dai livelli degli altri paesi europei (46,1% nel 2020 per l’UE-27) e con un divario, rispetto agli adulti di 45-54 anni, di 43 punti percentuali. I giovani occupati al Nord, peraltro, sono il 37,8% rispetto al 30,6% del Centro e al 20,1% del Mezzogiorno. Al divario territoriale si aggiunge quello di genere: se i ragazzi residenti al Nord risultano i più occupati con il 42,2%, le ragazze della stessa fascia di età ma residenti nel Mezzogiorno non superano il 14,7%. La condizione anagrafica, territoriale e di genere dei giovani italiani incentiva il desiderio di estero. Dal 2006 al 2022 la mobilità italiana è cresciuta dell’87% in generale, del 94,8% quella femminile, del 75,4% quella dei minori.
Chi risiede nel territorio nazionale vive una condizione di rifiuto e disagio, rispetto a coloro che cercano all’estero la soluzione ai loro problemi. Si tratta di un’Italia, quella che va via, dinamica e attiva, non sempre spinta da urgenti necessità economiche. Dei 5,8 milioni di italiani residenti all’estero, il 48,2% è donna (2,8 milioni circa in valore assoluto; i celibi/nubili sono il 57,9%; i coniugati/e il 35,6%; i divorziati/e il 2,7% hanno superato vedovi/e (2,2%). Gli italiani iscritti all’AIRE hanno, quindi, un profilo complesso: sono giovani (il 21,8% ha tra i 18 e i 34 anni), giovani adulti (il 23,2% ha tra i 35 e i 49 anni), adulti maturi (il 19,4% ha tra i 50 e i 64 anni), anziani (il 21% ha più di 65 anni, ma di questi l’11,4% ha più di 75 anni) o minori (il 14,5% ha meno di 18 anni). Oltre 2,7 milioni (il 47,0%) sono partiti dal Meridione (di questi, 936 mila circa, il 16%, dalla Sicilia o dalla Sardegna); più di 2,1 milioni (il 37,2%) sono partiti dal Nord Italia e il 15,7% è, invece, originario del Centro Italia. Il 54,9% degli italiani (quasi 3,2 milioni) sono in Europa, il 39,8% (oltre 2,3 milioni) in America, centro-meridionale soprattutto (32,2%, più di 1,8 milioni).
Gli italiani sono presenti in tutti i paesi del mondo. Le comunità più numerose sono quella argentina (903.081), la tedesca (813.650), la svizzera (648.320), la brasiliana (527.901) e la francese (457.138). Il 78,6% di chi ha lasciato l’Italia per espatrio nel corso del 2021 è andato in Europa, il 14,7% in America, più dettagliatamente latina (61,4%), e il restante 6,7% si è diviso tra continente asiatico, Africa e Oceania.
Nonostante la riduzione del numero delle partenze si rilevano ben 183 destinazioni differenti: 48 europee, 47 africane, 44 dell’Asia, 24 dell’America settentrionale e 14 latinoamericane, 6 dell’Oceania. Il 53,7% (poco più di 45 mila) di chi ha lasciato l’Italia alla volta dell’estero per espatrio nell’ultimo anno lo ha fatto partendo dal Settentrione d’Italia, il 46,4% (38.757), invece, dal Centro-Sud.
La Lombardia (incidenza del 19,0% sul totale) e il Veneto (11,7%) continuano ad essere, come da ormai diversi anni, le regioni da cui si parte di più. Seguono: la Sicilia (9,3%), l’Emilia-Romagna (8,3%) e la Campania (7,1%). Tuttavia, dei quasi 16 mila lombardi, dei circa 10 mila veneti o dei 7 mila emiliano-romagnoli molti sono, in realtà, i protagonisti di un secondo percorso migratorio che li porta dapprima dal Sud al Nord del Paese e poi dal Settentrione all’oltreconfine.
Questi dati si incrociano alla perfezione con quelli ISTAT, relativi però al 2019, in epoca pre-covid, e riguardano le “Iscrizioni e le Cancellazioni Anagrafiche della Popolazione Residente”, che rilevano come nell’ultimo decennio si è registrato un significativo aumento delle cancellazioni anagrafiche di cittadini italiani per l’estero (emigrazioni) e un volume di rientri che non bilancia le uscite. Di conseguenza i saldi migratori con l’estero dei cittadini italiani, soprattutto a partire dal 2015, sono stati in media negativi.
È il Nord la zona da cui partono i flussi più consistenti di trasferimenti all’estero di cittadini italiani, rispetto alla popolazione residente. La distribuzione degli espatri per regione di partenza mette in evidenza una situazione più eterogenea: la regione da cui emigrano più italiani, in valore assoluto, è la Lombardia; seguono Sicilia, Veneto, Campania e Lazio. In termini relativi, rispetto alla popolazione italiana residente nelle regioni, il tasso di emigratorietà più elevato si ha in Trentino-Alto Adige, Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Veneto, Sicilia, Molise, Lombardia e Abruzzo. In termini assoluti i flussi di cittadini italiani diretti verso l’estero provengono principalmente dalle prime tre città metropolitane per ampiezza demografica: Milano, Roma e Napoli.
Nel 2019 il flusso di espatri verso il Regno Unito registra la cifra record di 31mila cancellazioni anagrafiche (+49% rispetto all’anno precedente), superando il picco dei 25mila espatri del 2016, l’anno in cui è stato avviato il processo di risoluzione per l’uscita del Paese dall’Unione europea. Durante il cosiddetto “periodo di transizione”, concluso il 31 dicembre 2020, molti dei cittadini italiani hanno ufficializzato la loro posizione trasferendo la residenza nel Regno Unito. In generale, i paesi dell’Unione europea si confermano le mete privilegiate per gli italiani che emigrano: Germania, Francia, Svizzera e Spagna. Nel decennio 2010-2019 questi cinque Paesi hanno accolto complessivamente circa 531mila italiani emigrati. Tra i paesi extra-europei, le principali mete di destinazione sono Brasile, Stati Uniti, Australia e Canada.
Nel 2019, gli italiani espatriati sono prevalentemente uomini (55%). Fino ai 25 anni, il contingente di emigrati ed emigrate è ugualmente numeroso (entrambi 20mila) e presenta una distribuzione per età perfettamente sovrapponibile. A partire dai 26 anni fino alle età anziane, invece, gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate: dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi. L’età media degli emigrati è di 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 13%. Considerando il livello di istruzione posseduto al momento della partenza, nel 2019 un italiano emigrato su quattro è in possesso di almeno la laurea (30mila). Rispetto all’anno precedente la numerosità dei laureati emigrati è in lieve aumento (+1,4%). Rispetto a cinque anni prima, gli emigrati con almeno la laurea crescono del 23%.
Il trend in aumento degli espatri è da attribuire in larga parte alle difficoltà del mercato del lavoro italiano di assorbire l’offerta dei giovani e delle donne. A queste si aggiunge il mutato atteggiamento nei confronti del vivere in un altro Paese, che induce i giovani più qualificati a investire con maggior facilità il proprio talento nei paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione.
Un’ultima considerazione riguarda le regioni del Mezzogiorno che continuano a perdere risorse qualificate. Negli ultimi dieci anni sono stati circa 1 milione 140mila i movimenti in uscita dal Sud e dalle Isole verso il Centro-nord e circa 619mila quelli sulla rotta inversa. Il bilancio tra uscite ed entrate si è tradotto in una perdita netta di 521mila residenti. La regione del Mezzogiorno da cui partono più emigrati è la Campania (29%), seguita da Sicilia (25%) e Puglia (18%). In termini relativi, rispetto alla popolazione residente, il tasso di emigratorietà più elevato si ha invece in Calabria: oltre nove residenti per mille lasciano la regione per trasferirsi al Centro-nord. La regione verso cui si dirigono prevalentemente questi flussi è, in termini assoluti, la Lombardia (29%) ma, in termini relativi, l’Emilia-Romagna è quella che li attrae di più (5 trasferimenti dal Mezzogiorno per mille residenti).
La provincia del Mezzogiorno da cui si registrano più partenze verso il Centro-nord è Napoli in termini assoluti (15% del totale delle partenze), mentre Crotone ha il tasso di emigratorietà più elevato: 14 residenti su mille si spostano al Centro-nord. Viceversa, la provincia centro settentrionale più attrattiva è Bologna, nella quale si trasferiscono dal Mezzogiorno oltre 7 residenti per mille.
Il contingente di emigrati meridionali che abbandona la terra di origine per stabilirsi in una regione del Centro o del Nord è composto prevalentemente da giovani in età attiva. Nel 2019, la quota più significativa di trasferimenti in uscita si registra nella fascia di età tra i 18 e i 35 anni (53%), mentre sulla rotta inversa tale quota è pari al 34%. Con riferimento al livello di istruzione dei soli cittadini italiani di 25 anni e più che partono dal Mezzogiorno e si dirigono verso il Centro-nord, il 41% di essi è in possesso di almeno la laurea, mentre uno su tre parte con in tasca il diploma.

Dunque, una diaspora che forse non incide tanto in termini personali, visto il crescente livello di formazione dei giovani che vanno via dai loro luoghi d’origine, quanto piuttosto in termini di spreco di risorse. È un quadro che presenta dinamicità e rende gli italiani tra i più grandi popoli migranti di ieri e di oggi, in cui prevale la migrazione volontaria, legata a scelte personali, influenzate dalla globalizzazione (e tecnologia) e dallo sviluppo socio-economico, che portano ad investire le risorse personali in Paesi attrattivi e dove si possono trovare migliori condizioni di vita.

Fondazione Migrantes, Il Rapporto Italiani nel Mondo 2022. Mobilità italiana: convivere e resistere nell’epoca delle emergenze globali, a cura di Delfina Licata, Tau Editrice, 2022. Il Rapporto è liberamente scaricabile da internet.

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