Teorie/La soggettivazione in Michel Foucault

sociologia generale

Teorie / La soggettivazione in Michel Foucault

CONTROLLO SOCIALE

di Pasquale Martucci

Sono sempre stato affascinato dalle idee di Michel Foucault. All’università studiammo il suo approccio al potere, attraverso due volumi: Sorvegliare e Punire (che riguardava un sistema per assoggettare i corpi, per dominare le molteplicità umane e manipolare le loro forze) e Nascita della Clinica (la separazione disumana tra corpo e persona, identità, del paziente). Ritenni giusto metterli insieme, quasi assemblandoli e dando una visione complessiva del suo pensiero.

Ho sempre cercato i suoi volumi, le sue lezioni, le sue interviste, le sue argomentazioni, proposte, soprattutto dopo la sua morte, utilizzando lo stesso metodo di anni addietro, cioè la visione d’insieme del corpus dei lavori realizzati.

Ciò che intendo fare in questo scritto è trattare di Michel Foucault l’idea di soggettivazione: il passaggio dal soggetto alla soggettività (una posizione, un punto fermo) e poi alla soggettivazione che sposta il discorso “dall’essere al fare”, nella dimensione della pratica: per soggettivazione si intende una serie di operazioni che servono a definire “un’identità, la nostra identità di soggetti”. (1)

Foucault si poneva il problema di determinare ciò che il soggetto deve essere e quale posizione deve occupare nel reale e nell’immaginario, per diventare legittimo di questo o quel tipo di conoscenza. È il modo di determinare la soggettivazione, e ciò nel legame reciproco tra oggettivazione e soggettivazione. Si affida agli assi del sapere-potere-soggettivazione (come processo). Il potere cerca di catturare l’operazione/processo di soggettivazione, vuole cioè assoggettare la soggettivazione. Per evitare ciò il soggetto deve opporre una resistenza, una lotta come diritto alla differenza, al cambiamento. (2)

Sono i diversi i modi in cui l’essere umano si trasforma in soggetto: mettendo in comune le differenze tra soggetti, si può costruire qualcosa che abbia a che fare con il comune. Studiando i modi di soggettivazione dell’essere umano nella nostra cultura, è rilevante notare che la maniera in cui un essere umano si trasforma in soggetto riguarda la formazione dei saperi e i principi di fondo intorno ai quali essi si organizzano e si costituiscono. Questo approccio include i percorsi seguendo i quali il soggetto viene costituito nella sua identità, ed è portato a pronunciare un certo io sono. Il soggetto è discorsivamente determinato, attraverso una vera e propria costruzione, mai fuori da meccanismi costitutivi di natura discorsiva, frutto di pratiche, storicamente determinate, il cui scopo è “la libertà in quanto governo di sé e degli altri”. La soggettivazione non è semplicemente un protocollo sistemico, una macchina che segue un programma, ma un “processo che dà luogo ad anomalie, eccedenze, soggetti individuali e collettivi emergenti e imprevisti”. (3)

Ho trovato illuminante il lavoro di Gilles Deleuze su Foucault, i tre volumi su: Il sapere, Il potere ed ultimo: La soggettivazione, in cui l’autore durante le lezioni stimola i suoi interlocutori ad interpretare differentemente le sue argomentazioni, secondo l’espressione: “Io vedo le cose in modo diverso”. (4)

Ed infatti, sono di interesse gli esempi, anche le ripetizioni, le stimolazioni, i ritorni su contenuti già affrontati, lo scorrere delle parole per spiegare con argomentazioni differenti.

Prima ancora di Deleuze, mi ero soffermato su un altro volume (5). Sandro Luce sostiene l’importanza di rintracciare in territori inesplorabili e incontrollabili un altro luogo, fuori della traiettoria del potere, uno spazio di soggettivazione. Lo spazio vuoto implica una soggettività portata sempre sul margine, sull’orlo, senza che il tragitto sia compiuto sino in fondo. L’autore scrive nell’introduzione che “siamo immersi, dentro, un complesso di pratiche in cui le procedure di soggettivazione (…) sono correlate in maniera indissociabile a tecniche di controllo e di induzione”. La conclusione è che sia il sapere che il potere svuotano la soggettivazione di senso. Il problema è di uscire dal dentro in cui siamo immersi e “varcare una soglia in cui anche il fuori è dentro interiorizzato”. (6) Si agisce in un processo, dinamico e mutevole, in cui il soggetto spostando sul piano relazionale, scopre fuori di sé affetti, relazioni e sensazioni, seguendo “processi di flussi che lo realizzano attraverso un divenire instabile e molteplice”. (7) Poi l’autore introduce i concetti di “dispiegamento della piega” e di “disvelamento”, che saranno centrali nell’analisi di Deleuze. L’ultima notazione riguarda la conclusione di Foucault, cioè “il ruolo della conoscenza nella formazione della soggettività”, che avviene con il costituirsi di una serie infinite e multiple di soggettività diverse. Scrive: “La costituzione di sé (…) si presenta come un’esperienza essenzialmente riflessiva e simbolica, attraverso la quale l’uomo cerca di fissare la sua attività autointerpretativa al fine di definire ciò che egli è”. Aggiunge che si tratta di una forma storica di soggettività, in cui hanno importanza cultura e gruppi sociali, che propongono, suggeriscono, forse impongono. (8)

Vado a Deleuze che argomenta in maniera puntuale le tesi di Foucault.

Il punto chiave è quello del dentro e del fuori. Per Foucault l’interno è l’interno del fuori: c’è un movimento del fuori attraverso il quale si costruisce un dentro del fuori. Il fuori è ad esempio l’oceano, il dentro è la piccola barca, quella che può essere definita “la piega dell’oceano”. Assumendo il folle, il filosofo lo colloca all’interno e all’esterno, un prigioniero che cattura un passaggio all’interno dell’esterno, quando è gettato sulla barca nell’oceano. Per Deleuze, è necessario che la linea del fuori faccia una piega perché altrimenti è invisibile, e in quella piega possiamo vivere, respirare, muoverci, altrimenti ci sarebbe la morte. La barca permette al dentro di scoprire il fuori, l’oceano. (9)

Andando oltre, il fuori è il lontano assoluto e non sarà raggiunto attraverso un viaggio, perché il fuori è più lontano del mondo esterno, ma più vicino di ogni mondo interno. Il secondo aspetto è che la linea del fuori si piega e dà da pensare. E piegandosi produce “l’impensato nel pensiero”, costituisce un pensiero, un interno; è un pensiero impensato perché non pensiamo ancora, o meglio il “non ancora” heideggeriano. Si tratta di strutture della temporalità, sono momenti assegnabili nel tempo. Heidegger introduce il concetto di svelamento, dove svelare è svelare la cosa non velata. È durante l’operazione di svelamento che appare il velo. Qui è la stessa operazione che c’è tra piega e piegamento. Non si tratta di capire ciò che sta dietro il velo o la piega, ma dietro il velamento o piegamento. Questo permette di stare nel pensiero e non semplicemente nella pura esperienza (esteriorità). È la ricomposizione di un fuori nel dentro, esteriorità interna e interiorità esterna, sempre però relativa. Può però esistere anche un dentro assoluto e un fuori assoluto. (10)

Diceva Heidegger che il pensiero è un esercizio assoluto della memoria; Platone parlava di reminiscenza, come memoria trascendente. Ricordare qualcosa che non è stata mai presente, il ricordo di qualcosa che non ho mai visto. Ciò che ricordo nell’esercizio empirico, che ho visto in precedenza, ciò che ricordo è ciò che posso cogliere in altro modo. Cosa ricordo dell’esercizio trascendentale? L’oblio fondamentale, l’inimmaginabile, l’indicibile, il dispiegamento. Lo svelamento però non è la fine del velamento, ma la manifestazione del velo in quanto tale. Se per Heidegger la teoria della verità è svelamento, o meglio svelamento/velamento, lo svelamento è lo stato velato della verità. Il pensare, ciò che dà da pensare, è già lì; è il fuori e l’impensato dell’interno. (11)

Un esempio importante è quando Deleuze sostiene che il territorio della filosofia è la Germania, mentre la terra della filosofia è la Grecia, ovvero che quest’ultima dà una terra al territorio tedesco. C’è un riferimento ad Hegel a proposito del movimento della soggettività del soggetto, che pensa l’essere pensando a se stesso. Per andare alla storia, che deve essere sempre un interrogarsi con fare filosofico, Deleuze percorre i territori tracciati nel processo che si realizza. Vernant affermava che all’inizio c’è il caos, poi il dio sovrano Zeus: il tempo che passa, il divario, dal caos all’ordine (Zeus), è quello del pensiero magico. Per Detienne si tratta del passaggio dalla verità magico-religiosa alla verità filosofica. Procedendo, il filosofo è chi afferma la vita non la potenza, il volere dominare. Lo stesso Nietzsche, nonostante i fraintendimenti, sosteneva che non era la volontà di potenza (dominio), ma la volontà di affermare la vita. Qui, sostiene Deleuze, non si tratta di giudicare la vita, come fa il dio sovrano, ma di trovare nuove possibilità di vita, operando “l’unità di tutto ciò che vive”. (12)

Ma come? Stabilendo in se stessi “un rapporto tra le azioni e le reazioni, in modo da produrre il massimo di azioni”, ci si può opporre alla guerra, al guerriero, alla volontà di potenza. Devono esserci agenti liberi. Ritorna la Grecia, che aveva inventato un nuovo rapporto di forze tra uomini liberi, la poleis. È l’uomo libero che governa su altri uomini liberi, una forza che operando su se stessi opera una soggettivazione. E proprio i greci hanno inventato la forza che è sia soggettività che interiorità. È la soggettività nella forma della soggettivazione attraverso la quale la forza è piegata su se stessa. Chi governa è colui che è in grado di governare se stesso: è il rapporto di potere tra agenti liberi e la “soggettivazione è un potere che si esercita su se stessi nel potere che si esercita sugli altri”. (13)

Altre specificazioni riconducono di nuovo alla piega, perché la soggettivazione è piegare il fuori, la linea del fuori. Sono tanti i modi della soggettivazione, perché ci sono molte pieghe, molti aspetti della piega: 1) la piega è ad esempio il corpo nei greci, contrapposta alla carne dei cristiani; 2) poi, c’è la regola in base alla quale si fa la piega (regola naturale, morale, divina); 3) inoltre, il rapporto tra vero e soggetto; 4) infine, la domanda: cosa aspettarsi nella piega della vita (memoria, salvezza, bellezza)? (14) Ma poi, quali sono le altre pieghe? Il soggetto è un derivato, un prodotto delle operazioni. I greci parlavano di uomini liberi che governavano altri uomini liberi (autogoverno di sé). (15)

Eppure, come accade in Sorvegliare e punire, il potere cerca di riprendersi le forme di soggettivazione, appropriandosi del soggetto che aveva acquistato la sua autonomia. È la lotta del soggetto per sfuggire al potere. Procedendo così, nascono nuovi rapporti di potere e forme di sapere, ma anche nuovi modi di soggettivazione, che cercano di opporsi, oppure scendere a compromessi: resistenza, compromesso, piega, dispiegamento. (16)

Deleuze sostiene che Foucault non utilizzerà mai la parola soggetto, perché il prodotto della soggettivazione è il sé, il carattere ontologico di tre assi: essere potere; essere sapere; essere sé. Ciò si realizza nella storia, o meglio nelle condizioni storiche. La storia delle condizioni rivela i comportamenti, le idee. Si affretta a sostenere che le condizioni sono sempre singolari e non universali; sono problematiche e variano in ogni epoca. (17)

La domanda è ora: qual è il modo della soggettivazione? Cosa significa pensare, dal momento che il pensare è il piegamento, lo svelamento? Per Foucault pensare è vedere e parlare, inserirsi nella piega delle due cose, tra vedere e parlare. In quello spazio si realizza il pensare, il rapporto in cui il dentro e il fuori si costruisce. Il passaggio successivo è l’essere sé. C’è un essere sapere e un essere potere. Nel primo caso, ci sono formazioni stratificate, quadri, visibilità, condizioni di ciò che si può vedere. È l’archivio di Foucault, dove siamo condannati e prigionieri della nostra formazione e allora cerchiamo il non stratificato. Se cerchiamo un passaggio diverso non lo possiamo trovare nell’archivio. Per cercare altri strati c’è necessità di una ragione. Ritorniamo alla piega, allo stare tra visibilità ed enunciati, dove c’è distinzione ma anche intersezione, corrispondenza. L’essere potere è il dispiegamento del potere. Qui si entra nel livello delle singolarità che sono quelle del resistere, perché tra le forze del potere non ci sono pieghe, fessure, punti. I punti non sono ancora determinati. Eppure per procedere occorre cercare un punto, una fessura, una differenziazione. Le singolarità libere permettono attraverso questo percorso di giungere alla soggettivazione. (18)

La conclusione di Michel Foucault è che sapere e potere rinviano sempre ad altri aspetti del sapere e del potere. La soggettivazione non deve chiudere il soggetto in se stesso, ma invitarlo a trovare quella linea, piega, per poter mettere in relazione il dentro e il fuori, che non è mai il mio dentro o il mio fuori, il rapporto con ciò che è la complessità della vita. Ma questa è una personale considerazione.

Note:

  1. Cfr.: Foucault M., L’ermeneutica del soggetto, Feltrinelli, 2003.
  2. Deleuze G., La soggettivazione. Corso su Michel Foucault 1985-1986, 3, Ombre Corte, 2020, pp. 14-20.
  3. Cfr.: Sorrentino V., Michel Foucault: il soggetto e il potere, Mimesis, 2013; Foucault M., L’ermeneutica del soggetto, cit.
  4. Cfr.: Deleuze G., cit. Il libro è la traduzione della trascrizione delle ultime cinque lezioni: 22 aprile 1986; 29 aprile 1986; 6 maggio 1986; 3 maggio 1986; 20 maggio 1986. Inoltre, c’è uno scritto, definito Annesso, del 27 maggio 1986.
  5. Si tratta di.: Luce S., Fuori di sé. Poteri e soggettivazioni in Michel Foucault, Mimesis, 2009.
  6. Ivi, p. 17.
  7. Ivi, p. 18.
  8. Ivi, p. 217.
  9. Deleuze G., cit., pp. 33-36.
  10. Ivi, pp. 50-54.
  11. Ivi, pp. 55-56.
  12. Ivi, pp. 82-90.
  13. Ivi, pp. 91-98.
  14. Ivi, p. 118.
  15. Ivi, pp. 118-122.
  16. Ivi, pp. 125-126.
  17. Ivi, pp. 161-162.
  18. Ivi, pp. 166-171.
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