INQUADRATURE racconti di Danilo di Nardi – Manni editore
Di Rita Felerico
Come definire, leggere, avvicinarci a questo piccolo, prezioso, libro di racconti? Aprire le pagine e sorprenderti, introdotti, per rimarcarne ancor più il significato, dal dipinto di Silvana Stanzione ritratto in copertina, dal titolo Sfumato, che rimanda alle dissolvenze delle inquadrature cinematografiche. Sì, perché questi racconti si percepiscono e si determinano come tante piccole storie di formazione dove gli spazi, i luoghi, divengono scenario, con i loro colori, profumi, nel quale si muovono le persone – più che i personaggi – delle storie, segnando un palcoscenico di ricordi e di azioni che donano senso al presente.
In Azzurro (pag. 20) per esempio, ritroviamo questo impianto descrittivo e nelle parole finali l’incipit di un perché; scrive di Nardi: “L’azzurro salato a quell’ora si presentava intenso, la distesa placidamente iniziava a danzare. Si voltò ed esplorò le alture scorgendo lontana la sua dimora, Indossò le espadrillas ed iniziò a camminare: la sua giornata poteva avere inizio”.
I colori, quindi, i profumi, i contorni dei paesaggi e dei volumi che lo riempiono sono presenti sempre, sono presenze che divengono per l’autore, insieme al narrare di sé, veri e propri protagonisti. I suoi studi di architettura fanno eco, non solo, ma come non sentire risuonare Kandinsky, il Kandinsky de lo spirituale nell’arte, pagine nelle quali il grande pittore analizza e spiega come forma e colore dipendano da leggi di necessità interiore che sono certamente psichiche, dipendenti dall’interiorità. Scrive, infatti, di Nardi in Rosso, giallo, verde (pag. 37) rosso. “Afa, deserto, strada fumante, gomme sciolte………….giallo. Allenta il nodo della cravatta…..giallo. Luce abbagliante, allucinante….. verde. Liberazione, rinascita, libertà…”.
Colori, profumi che nutrono il quotidiano. E’ un Uomo Mediterraneo quello che emerge tra le pagine e i suoni, gli odori, i profumi, i luoghi, il mare, le persone, i pescatori che vi abitano rispecchiano questa appartenenza mediterranea, che è anche luogo dove andare a ricercare le origini, l’identità. Non è un caso che Inquadrature si apra con il racconto Mediterraneo e poi c’è Sud (pag. 17) le cui parole finali legano inequivocabilmente questi logoi: Sud, Mediterraneo, luce intensa. Sud, Mediterraneo. Sud”. Oppure Sabbia (pag. 21) dove si fa il punto sulla storia del navigare, del viaggiare che si rivela un modus vivendi. L’autore viaggia per allontanarsi, andare verso la magia dell’ignoto e per ritornare e ‘convincersi’ a vivere come scrive in Vista dal mare (pag. 44) ““….. fermo eppure in movimento costante, condizione esistenziale.”. Ma dove fissare, allora, la propria dimora? Tra le nuvole (pag. 30) “In volo, questa era la sua condizione naturale, ideale. Non amava restare sulla terra ferma per molto tempo. In volo si sentiva a casa, senza una patria ma allo stesso tempo di ogni luogo…”. Ma a volte anche se in viaggio – come in Safari (pag. 31) – si è presi dallo sbandamento, si è in cerca di luce, si pensa al villaggio natio.
Perché, dunque, l’autore racconta? Perché si racconta, e racconta ciò che lo circonda per appropriarsene e farlo suo, o meglio per raccontare a se stesso come quella storia si intrecci con la sua, con il suo sentire e il suo sentimento: gli spazi, i luoghi, i colori, i profumi sembrano fare da cornice, per inquadrare una storia grande, quella del fuori, nella storia piccola quella di Danilo, della sua intima vita. Si instaura così un rapporto fra una periferia – l’autore- e un centro, rapporto che è il motivo della scrittura.
Un rivelare con le parole, di volta in volta, una parte di abisso che non si sa di avere, o che non si percepisce subito, e che a volte è anche confusa, ma che è quella che lega, unisce il nostro immaginario, personale e collettivo. La scrittura, come l’arte, il desiderio di bellezza sono il fil rouge del morire e del vivere; su di uno stesso piano, sono tutti elementi di distrazione che donano sapore alla vita, sganciano solitudine e aprono alla immaginazione.
E’ il potere dell’arte, ci suggerisce l’autore o come si legge in Rituale (pag. 36) della letteratura, che accumula ‘un patrimonio, un miscuglio di suggestioni e sentimenti’. Il piacere di giocare con le parole, ‘esplorare nei meandri la relazione tra significante e significato’ – confessa di Nardi in Giocoliere (pag. 58) – o accarezzare le pagine dei grandi scrittori da lui tanto amati della letteratura sud americana argentini, colombiani, brasiliani, messicani come scrive in Caribe (pag. 67) che si avvale di una magnifica chiusa, chiarificatrice, del suo rapporto con la scrittura / letteratura “Lui amava la vita, gli imprevisti, gli accadimenti, trovava che il concetto di trama fosse inadeguato, incapace di rappresentare la realtà perché nella vita reale non esiste una narrazione predefinita, non vi è un regista che disegna le scene, le inquadrature, il montaggio: le cose accadono”. Si chiarisce ancora di più il senso del titolo, ritorna cioè il richiamo al linguaggio del cinema, al surreale della vita e nelle nostre fantasie, a quanto la finzione possa combaciare con la realtà e viceversa.
Ma il linguaggio della scrittura nel corso delle Inquadrature segue anche il ritmo della musica e spesso la trama di un pentagramma si svela dietro la pagina scritta. Come in Canzone (pag. 47) dove la penna descrive il momento dell’intuizione creativa, alla ricerca di un accordo, di una sequenza armonica. Si legge il ritmo jazzistico nel ripetersi delle parole in alcuni racconti come in Rimbalza (pag. 24) o in Panta rei (pag.16). Linguaggio filmico, musicale, la letteratura vista con gli occhi dell’autore, un percorso formativo – come accennato all’inizio – che la pagina confidenziale di Bianco (pag. 61) rivela come un segreto: lo scorrer del tempo, della vita e la vita come in un film, mentre nel susseguirsi delle scene si inquadra il paesaggio, i volti, si improvvisa e si vive.
L’autore è in ogni pagina, si descrive, lo riconosciamo, nello scegliere gli abiti, il modo di indossarli, riconosciamo il suo camminare, il suo incedere. Ma così sincero descrive anche le sue debolezze e le sue fragilità: l’anelito degli incontri con le donne, delusioni, piccole gioie. Storie quasi tutte nostalgicamente amare, dove predomina il gioco del destino, incomprensione e incomunicabilità, come in Silenzio (pag. 59) o in Mezcla (pag. 50) dove predomina un inspiegabile linguaggio di sguardi. E l’amore? Cos’è l’amore? Forse potremmo comprenderlo meglio sillabando con più attenzione le sensazioni che di Nardi ci affida con gli ultimi due racconti, Una vita, un istante (pag. 771) e Una finestra sull’infinito ((pag.2) dove scrive: “da ragazzo gli sarebbe piaciuto salpare per un lungo viaggio, vivere un’esperienza di vita in mare, in movimento continuo, costante”.
Pensando alla sua prossima scrittura, lascio con queste riflessioni, tratte da La Via della Narrazione, un piccolo capolavoro di Alessandro Baricco: “Nessun peggior errore che confondere trama e storia. La trama è un viaggio lineare dentro una storia: è destinato a passare solo in alcuni punti della storia e a renderne visibile solo una parte. E’ come una linea ferroviaria che attraversa un continente. Chi viaggerà su quella linea non potrà certo dire di avere visto l’intero continente, ma nondimeno l’ha abitato, vissuto, intuito. E’ quel che si può fare”.


