Una scuola aperta, affettuosa e del fare.

sociologia generale

Sociologia della Scuola
Sociologia dell'Educazione

Una scuola aperta, affettuosa e del fare.

Di seguito, l’introduzione dell’ultimo volume di Emilio La Greca Romano: “La scuola post-pandemica. Politica e cronaca scolastica” (Susil Edizioni), disponibile nel catalogo dei libri in commercio, nelle librerie e sui principali store online nazionali.

di Pasquale Martucci

Leggendo il libro del prof. Emilio La Greca Romano: “Scuola post-pandemica. Politica e cronaca scolastica”, una raccolta di scritti sulla scuola post-covid, trovo indicata la prospettiva, l’ottimismo del futuro. Sono tanti i temi che riguardano ciò che si dovrà fare, affrontare, anche con evidenti difficoltà, per cercare di migliorare un’agenzia educativa che, nonostante tutto, è ancora centrale e continuerà ad essere tale.
È proprio in termini di possibilità e di tendenza che va posta la questione del ruolo della scuola in una società in velocissimo cambiamento. La Greca Romano lo fa. Emergono dalle sue frasi puntuali riscontri su ciò che si deve fare, come a dire: ci siamo lasciati un periodo di crisi, non del tutto terminato, oggi abbiamo anche la guerra, e da lì occorre partire per andare lontano ed affrontare le nuove istanze provenienti dai giovani che chiedono di poter affrontare la loro vita futura. Sono essi coesi, conformi agli altri, attenti a seguire le mode, ma cercano anche di chiedere “futuro”. La scuola deve intercettare quei bisogni, cercando di modernizzarsi, di attenuare le distanze generazionali, rendendo la formazione più consona alle esigenze di una società che fa i conti con il nuovo, che significa poi stare entro le regole democratiche che il progresso contribuisce a modificare adattandole all’attuale. Il nuovo è dunque attivare un processo creativo che sia ricerca di modalità nuove di gestire il corso degli eventi.

Una delle questioni più evidenti nella società attuale è proprio il rapporto generazionale. Oggi, una parte consistente della popolazione vive in una situazione intermedia: i giovani non sono più né bambini né adolescenti e non sono ancora adulti; se pure hanno raggiunto la maturità biologica e psicologica, non hanno ancora la maturità sociale. L’adolescenza diventa così una condizione che dà vita a forme di cultura specifiche delle fasce d’età coinvolte. La maggior parte dei giovani non sono più posti di fronte a un destino sociale ineluttabile: non dovranno più seguire le orme dei padri e dei nonni, ma hanno di fronte a sé una pluralità di opzioni e opportunità, reali o soltanto immaginarie. Per poter scegliere, tuttavia, devono interrogarsi sulle loro reali aspirazioni, devono chiedersi quali sono le loro preferenze, le loro scale di valori. Karl Mannheim è il sociologo che studiò in modo compiuto il problema generazionale, inteso come esito di una particolare “collocazione” nella struttura sociale, in “uno spazio limitato di esperienze possibili”. Per chiarire questo aspetto, introdusse la distinzione tra collocazione, legame e unità di generazione. A differenza della collocazione, il legame di generazione rappresenta “un’unione reale tra gli individui che si trovano nella stessa collocazione”; loro stessi partecipano consapevolmente alle trasformazioni che investono il destino storico-sociale della propria epoca. È nelle unità di generazione che la collocazione generazionale diviene forza concreta di trasformazione sociale e culturale. Si tratta di un “processo continuo”, nel quale la cultura viene sviluppata da uomini che accedono ogni volta al patrimonio culturale accumulato. Quando emerge una nuova generazione si avverte l’esigenza di rimettere continuamente tutto in discussione: le esperienze del passato hanno importanza se esistono nel presente, se sono capaci di offrire agli individui modelli in base ai quali, consapevolmente o inconsapevolmente, orientare il proprio agire nella contemporaneità. (Karl Mannheim, Giovani e generazioni, a cura di Maurizio Merico, Meltemi, 2019)

Per dare basi solide al futuro, soprattutto la scuola deve porre al centro la valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni, rafforzando i percorsi formativi e professionali per superare sia i limiti che gli squilibri passati, ma anche per cogliere le opportunità di uno sviluppo inclusivo e sostenibile. Essa deve partire da investimenti, come fa emergere il nostro autore, ma non fermarsi, adagiarsi ad accettare inermi le cose date. I giovani ci insegnano a fare, ad essere altro. Su questo altro occorrerebbe accettare il confronto per la crescita individuale in prospettiva sociale.

Il volume, che utilizza argomentazioni critiche legate alle difficoltà ma anche alla volontà di invertire la tendenza, si lascia leggere tutto d’un fiato, facendo percorrere al lettore tante pagine rese veloci per le tematiche che si susseguono ad un ritmo rapido. Emilio La Greca Romano continua dunque con spirito di ricerca ad osservare e mostrare tanti temi, che hanno in comune un’unica traccia: la scuola. Si tratta di un buon esempio di raccolta di idee, con l’intento di offrire pagine di vita scolastica, di cronache politiche generali e del territorio.

Rilevo l’importanza di due tracce dell’esame di maturità 2022, che forse possono offrire indicazioni: la prima sul mondo interconnesso; la seconda sull’importanza della musica.

Nel primo caso, certamente l’aspetto da verificare riguarda limiti ed opportunità. L’auspicio è che i giovani non abbiano indicato solo le situazioni favorevoli, come del resto potrebbe essere evidente se si osserva l’assenza di un approccio critico. Si tratta di persone che passano la giornata a digitare qualcosa sui loro strumenti tecnologici. Si, ma cosa? La letteratura si è molto soffermata sulla questione “social media”, chiaramente con approcci differenti: i cultori della tecnologia rilevano le grandissime potenzialità; poi ci sono coloro che guardano ad educazione e formazione e manifestano non poche perplessità.

Se ci si affida solo alla tecnologia, c’è “illusione di sapere”, la credenza che la rete fa conoscere, attraverso accumulo illimitato di informazioni. Al contrario, è necessario un metodo, una modalità di fare ricerca con internet, per potersi districare tra i tanti saperi, che vanno verificati per evitare falsificazioni. E la scuola deve proprio fare ciò, affidandosi alla riflessione sul come stare in rete, indicando comportamenti adeguati e tipologie di difesa.

Secondo molti esperti il digitale porta ad una frammentazione del sapere: la conoscenza, afferma il linguista Raffaele Simone, è diventata un insieme di frammenti, in cui il problema è metterli insieme e darvi un senso. Sostiene che con il web si ottiene una prosa sciatta e approssimativa; le informazioni indeboliscono la nostra memoria; si modificano le abitudini; ci si sente perennemente connessi, senza interruzione; si creano forme di vita fasulle. (Simone R., Presi nella rete. La mente ai tempi del web, Garzanti 2019, or. 2012)

Molti sono convinti che i social intorpidiscano le nostre capacità umane del ragionamento, della percezione, della memoria e delle emozioni. E la cosa può essere verificata facendo l’esempio della DAD, che non ha certamente favorito la capacità di incrementare la formazione e le possibilità di conoscenza. Gli insegnanti hanno accertato un regresso sia per quanto riguarda l’acquisizione e la padronanza di competenze, che in termini di socializzazione. È su questo versante che deve intervenire la scuola.

Altro elemento di vicinanza ai giovani è rappresentato dalla musica, l’inclinazione degli uomini e il loro segno distintivo. La musica, come la danza, i gesti, le espressioni artistiche superano le differenze e consentono di giungere al cuore. Sosteneva l’antropologo Paolo Apolito che si tratta di “ritmi” (Apolito P., Ritmi di festa. Corpo, danza, socialità, Il Mulino, 2014), espressioni del nostro corpo che diventano quasi naturali nell’esistenza umana. Ed infatti, i giovani cercano di guarire i loro disagi perché il ritmo e il suono è qualcosa di ancestrale e non morirà mai; è altro rispetto alla pura razionalità e agisce sulle corde delle emozioni.

Tecnologia e musica, come elementi di cambiamento di prospettiva, per entrare nel mondo di ragazzi che poi saranno gli uomini del domani C’è la volontà di venire incontro perché, come ha affermato il ministro Patrizio Bianchi, di cui l’autore dà conto in diversi scritti, la scuola che si cerca di affermare vuole proprio rispondere alle esigenze dei giovani ponendoli al centro, come è giusto che sia.

È necessario entrare nella struttura del libro, mettendo insieme le argomentazioni contenute negli scritti. Le stesse sono in differenti lavori, che si susseguono nel complesso racconto dell’autore.

Partiamo dal titolo. Una scuola affettuosa è soprattutto accogliente, empatica, senza barriere e aperta a riconoscere i bisogni. Quando si parla del fare, spesso ci si dimentica che l’operare è anche conoscenza, dunque cultura, idee, da cui dipende la nostra visione del mondo, che necessita di cambiamento e di nuovi approcci per la ricerca di un senso alla nostra esistenza.

L’autore parla di molteplici iniziative anche territoriali, legate a biblioteche, librerie, arti visive e teatrali. Ma la cultura è anche sport, corpo fisico, oltre che mente. Il tutto attraverso percorsi inter e multidisciplinari, con l’affermazione delle lingue, italiana e discipline umanistiche, delle lingue straniere, del digitale, della scienza. Ho trovato interessante il riferimento al “saper(e)consumare”, come educazione responsabile a qualsiasi modalità di consumo. Poi diventano rilevanti i temi che riguardano investimenti, protocolli di intesa, progetti. Su tutto le riforme, di cui si dà rilievo in articoli concernenti le iniziative legislative in tema di ammodernamento delle istituzioni di ogni ordine e grado. Tutto ciò anche per poter utilizzare i programmi europei, attraverso una provvidenziale riorganizzazione.

La Greca Romano si sofferma a lungo su una scuola che deve essere presidio di democrazia e legalità, pace, attenzione all’ambiente, biodiversità ed attività sostenibili, ma soprattutto accettazione delle diversità, omofobia e transfobia. C’è poi la questione migranti, specie dopo la guerra in Ucraina che ha molto modificato i contesti scolastici.

Non tutto va nel verso giusto però. L’autore rileva criticità nell’accompagnamento ed inserimento di alunni che hanno differenti competenze, dove manca il multilinguismo, la pedagogia dell’emergenza, l’educazione interculturale.

In un articolo particolarmente significativo, l’autore si chiede se la scuola sia la “madre” affettuosa di Bianchi, oppure la “matrigna” che fallisce nei suoi scopi. È chiaro il riferimento: la Matrigna afferisce alle entità che si dimostrano ostili, crudeli, la funzione oppositiva alla natura, alla sorte, non attenta ai suoi figli. In “Dialogo della Natura e di un Islandese”, Leopardi considera il suo protagonista intento a trovare un luogo dove poter vivere senza disagio, ma trova solo pericoli e difficoltà. Incontra una gigantesca figura femminile addossata ad una rupe: la Natura, una donna dall’aspetto bello e terribile, di capelli e occhi nerissimi, che non può intervenire, ma assiste impassibile al compiersi e al rinnovarsi del ciclo della vita. In altra eccezione, la Madre è invece la divinità femminile primordiale che rimanda al simbolismo materno, alla nascita, alla fertilità e alla sessualità, ma anche al nutrimento, alla terra e alla crescita. Nella nostra cultura è la Madonna che si prende cura dei propri figli e rimanda alle origini matriarcali della civiltà contadina.

Qui il ministro Bianchi ha voluto intendere un processo in cui ci sia affettuosità e non certamente una scuola impassibile e poco attenta al compiersi della vita, senza intervenire.

Quale scuola, allora?

Negli scritti proposti, ci sono indicazioni riguardanti: ambiti procedurali, programmazione, informazione e prevenzione, riqualificazione e riorientamento. Cioè forme di intervento a sostegno dell’accoglienza e dell’affettività.

L’autore dimostra attenzione e disponibilità a cimentarsi con l’universo scuola, guardando come accade con le onde del mare, che vanno in alto e poi improvvisamente scendono. Lì siamo posti tutti, magari su una barca che affronta i flutti e le difficoltà per attraversare l’oceano. Questa metafora è presente in Gilles Deleuze, che tratta della “soggettivazione” in Michel Foucault. Sono diversi i modi in cui l’essere umano si trasforma in soggetto: mettendo in comune le differenze, si può costruire qualcosa che abbia a che fare con il comune. Un essere umano è tale quando la formazione dei saperi e i principi di fondo, intorno ai quali essi si organizzano, permettono all’individuo di costruire la sua identità, con lo scopo di trovare la libertà per sé e per gli altri. (Cfr.: Deleuze G., La soggettivazione. Corso su Michel Foucault 1985-1986, 3, Ombre Corte, 2020; Foucault M., L’ermeneutica del soggetto, Feltrinelli, 2003; Sorrentino V.,  Michel Foucault: il soggetto e il potere, Mimesis, 2013)

Il percorso è arduo e difficile, le difficoltà sono tante, ma grande è il bisogno di farlo e di resistere per cercare di mettere la barca/scuola tra le pieghe delle onde, per i cambiamenti delle stesse regole sociali, con le intelligenze, la diversità, la crescita dell’uomo e del cittadino. Si tratta di possibilità, che il soggetto/giovane deve poter cogliere.

L’intento dell’autore è proprio scoprire la soggettività, indicare un percorso costruttivo, un processo.

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